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sabato, 27 Luglio 2024

Esofago di Barrett: ospedale San Giovanni Bosco unico centro piemontese che cura con radiofrequenza

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

La Gastroenterologia dell’Ospedale San Giovanni Bosco Asl To 2, diretta da Serafino Recchia, è stata appena dotata, dal 5 febbraio 2014, grazie al contributo della Compagnia di San Paolo, dell’unica apparecchiatura in Piemonte per il trattamento dell’Esofago di Barrett con radiofrequenza, la tecnica ablativa che si è dimostrata più vantaggiosa in termini di efficacia, assenza di complicanze importanti, riproducibilità e durata nel tempo.
L’Esofago di Barrett è una patologia precancerosa che rappresenta un noto fattore di rischio per lo sviluppo dell’adenocarcinoma della giunzione esofago-gastrica e colpisce il 10-20% dei pazienti con sintomi da reflusso gastro-esofageo e il 2% della popolazione generale.
Nell’ambito dei pazienti con Barrett, l’adenocarcinoma esofageo incide dello 0,5% ogni anno, ovvero un carcinoma all’anno su 200 di questi pazienti.
«Sinora in Piemonte non era possibile il trattamento dell’Esofago di  Barrett con radiofrequenza e i casi in cui sussisteva l’indicazione venivano inviati a Milano – spiega il direttore generale Asl To 2, Maurizio Dall’Acqua – con l’installazione di questa nuova apparecchiatura, che è la più indicata per questo tipo di terapia, l’Endoscopia del San Giovanni Bosco si pone come Centro di riferimento regionale per questo tipo di trattamento, come espressamente previsto dal documento elaborato dalla Rete Oncologica nel 2013 per il Gruppo Interdisciplinare Cure-Esofago. Siamo molto orgogliosi di poter offrire ai Cittadini, in un nostro centro d’eccellenza, cure d’avanguardia evitando loro eccessivi spostamenti».
Presso la Gastroenterologia del San Giovanni Bosco, Franco Coppola è stato appositamente formato sulla metodica, con stage nell’anno 2012 presso l’Università di Lovanio in Belgio, e nel primo mese di attività ha già trattato con successo quattro pazienti, una donna e tre uomini, di età dai 24 ai 72 anni e in questo mese di marzo sono già programmati altri due pazienti.
«Il reflusso gastro-esofageo, che riguarda il 10% circa della popolazione, espone in modo prolungato l’esofago al reflusso acido e biliare, provocando un’infiammazione cronica della mucosa – spiega Serafino Recchia – nel tempo questa alterazione può provocare la degenerazione del normale rivestimento esofageo, che è un epitelio squamoso, in un epitelio di tipo intestinale. Questa degenerazione dei tessuti, la cui diagnosi è affidata esclusivamente alla gastroscopia con biopsia mirata, è denominata metaplasia e può peggiorare ancora, divenendo una displasia, che rappresenta l’ultimo stadio prima del cancro. E’ una degenerazione che procede in sequenza, da mucosa normale, a metaplasia intestinale, a displasia lieve, sino a displasia severa, cancro intramucoso, carcinoma avanzato».
«La nuova tecnica, che si esegue in sedazione profonda – precisa Franco Coppola, gastroenterologo specialista nella tecnica RFA– consiste nell’applicare per via endoscopica una corrente elettrica alternata di elevata frequenza, che determina ipertermia con conseguente danno cellulare ed effetto essiccativo sui tessuti degenerati. Presenta notevoli vantaggi in termini di eradicazione, superiore al 90%, perseguibile con numero limitato di trattamenti, in media 2,5 per ogni paziente, e sicurezza della metodica, tarata in modo tale da non danneggiare gli strati profondi della parete esofagea. Questa tecnica, che si definisce ablativa, elimina in modo completo lo strato superficiale e malato dell’esofago, detto mucosa di Barrett: dopo l’eradicazione si verifica la  ricrescita della mucosa esofagea normale, che colonizza le aree prima occupate dalla metaplasia».
I pazienti dopo il trattamento vengono ricoverati per due notti a scopo precauzionale.
Durante il ricovero devono osservare il digiuno per le prime 24 ore, quindi essere alimentati con dieta liquida e infine morbida per il tempo massimo di una settimana.
«I pazienti con diagnosi istologica di Esofago di Barrett, che sono candidati all’utilizzo della tecnica ablativa con radiofrequenza, sono coloro che risultano affetti da aree di displasia non visibili, diagnosticate con biopsie random, o in seguito alla rimozione di lesioni visibili precoci, come consiglia il protocollo internazionale per ridurre al minimo il rischio che il Barrett possa evolvere nel tempo verso il cancro – spiega Recchia – l’adenocarcinoma esofageo è infatti uno dei tumori la cui frequenza si è maggiormente incrementata negli ultimi anni rispetto ad altri tipi di neoplasie: l’incidenza dello 0,5% ogni anno tra i pazienti con Esofago di Barrett aumenta all’1,7% in presenza di displasia lieve e al 6-10% in presenza di displasia severa, ogni anno successivo alla diagnosi».
Invece i pazienti con Barrett che non presentano displasia devono effettuare gastroscopie di controllo ogni 2-3 anni e coloro che presentano lesioni visibili “precoci” possono essere trattati con tecniche endoscopiche resettive.
«Con questa nuova apparecchiatura possiamo offrire ai pazienti la metodica oggi più accreditata per questa terapia – conclude Coppola – le altre tecniche utilizzabili per l’ablazione dell’Esofago di Barrett sono la terapia fotodinamica, gravata da complicanze maggiori, come la perforazione esofagea e la sensibilizzazione cutanea, la crioterapia, potenzialmente efficace ma meno documentata dal punto di vista scientifico, l’Argon Plasma, ormai abbandonata perché inefficace e con la possibilità di nascondere aree di Esofago di Barrett non più visibili ma ancora presenti, e la terapia con Laser a diodi, molto meno efficace perché necessita del triplo di trattamenti rispetto alla radiofrequenza».

 

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