di Giorgio Merlo
La politica italiana è ormai dominata dalle cosiddette “maggioranze variabili”.
Una costante che evidenzia il decadimento della politica e il progressivo degrado delle stesse istituzioni democratiche. Certo, in una stagione dove una maggioranza politica non c’è più, dove gli schieramenti sono sempre più intercambiabili e si registra il più grande incremento di passaggi parlamentari da un’alleanza all’altra e da un partito all’altro dal secondo dopoguerra in poi, è ovvio che le maggioranze che di volta che si formano variano rapidamente.
L’unico elemento che ne deriva è la perdita di credibilità della politica, la crescita esponenziale degli astenuti e degli indecisi come confermano ormai tutti gli istituti di sondaggio e il tramonto definitivo delle culture politiche che dovrebbero ispirare e guidare le varie formazioni politiche. Voglio fare un esempio concreto senza scendere nella polemica perché sarebbe anche del tutto inutile.
Oggi noi abbiamo i cultori storici del berlusconismo e di Berlusconi – dal livello politico e poetico a quello più gestionale, dalla sfera giornalistica a quella della semplice organizzazione del partito di Forza Italia – che sono diventati i più grandi cultori di Renzi e del renzismo. E, di conseguenza, un nuovo e positivo giudizio sull’attuale governo, la necessità di dar vita al sempre più discusso “partito della nazione” e un crescente sostegno alle scelte dell’esecutivo.
Certo, il tutto è sempre accompagnato da distinguo speciosi e da marchingegni regolamentari ma il cittadino, anche nel suo disinteresse, capisce al volo che è in atto una mutazione genetica della politica italiana. Almeno di quella che abbiamo conosciuto sino a qualche anno fa. Del resto, è crollata la dicotomia politica e culturale tra berlusconismo e antiberlusconismo, tra destra e sinistra, tra vecchio e nuovo e via discorrendo. Per non parlare della “questione morale” che ormai è diventato un ferrovecchio del passato destinato ad essere archiviato senza appello.
Ora, di fronte ad un quadro del genere, è persin scontato che le cosiddette “maggioranze variabili” diventino la regola della politica italiana e non più un’eccezione. Per cui, sulla riforma costituzionale e la rivisitazione di ben 46 articoli della nostra Carta c’è una maggioranza che poi non viene confermata sulla riforma delle unioni civili che a sua volta è diversa da quella che ha respinto la richiesta di dimissioni della ministra Boschi che a sua volta è ancora diversa da quella che approva regolarmente i provvedimenti meno importanti e di routine quotidiana.
Insomma, al di là del Nuovo centro destra – mai nome di partito fu più infelice alla luce dei comportamenti politici concreti di quella formazione politica – è indubbio che siamo di fronte ad un cambiamento radicale nella geografia politica italiana. E questo è anche il frutto di una stagione politica ormai post-ideologica e post culturale dove il tatticismo e la spregiudicatezza sono diventati i principi cardine attorno ai quali si formano e si rompono le maggioranze. Ed è necessario, forse, attrezzarsi a livello politico e culturale per battere questa deriva e questa degenerazione.
Altrimenti, senza questo sussulto politico, culturale ed etico, l’attuale situazione politica semplicemente si consoliderà nei suoi pregi, pochi, e nei suoi difetti, tanti.