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sabato, 27 Luglio 2024

E’ il mercato, bellezza

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Battista Gardoncini

Non è facile decifrare le grandi operazioni di borsa. I mercati non sono mai trasparenti, ma è chiaro che la scalata di Vivendi a Mediaset fa parte di un quadro più generale di trasformazione del sistema dei media, un altro passo verso la morte della vecchia televisione, sostituita da piattaforme di contenuti distribuiti su canali diversi – tv di casa, computer, smartphone – e fruibili on demand dagli utenti. Il quadro prevede la stretta integrazione tra chi produce i contenuti e chi li distribuisce, e infatti Vivendi si è già assicurata da tempo il controllo di Telecom con le sue reti diffuse sul territorio. Ed è un quadro sovranazionale, come dimostrano i casi di Netflix, di Apple TV, di Google TV e della stessa Amazon, che sta sbarcando in 200 paesi con i suoi prodotti multimediali.

Che a Berlusconi e al partito di famiglia il comportamento di Vivendi non sia piaciuto è comprensibile. Non capita tutti i giorni di vedersi sfilare dalle mani un gruppo di dimensioni così grandi, e con così complesse ramificazioni economiche, finanziarie e politiche. Ma non risulta che nel corso della scalata, di cui conosceremo gli esiti soltanto tra qualche tempo, i francesi guidati da Bollorè abbiano commesso irregolarità. Se sei una azienda quotata in borsa e la controlli con il 35% per cento delle azioni puoi anche aspettarti che prima o poi qualcuno più furbo e ricco di te acquisti la quantità di azioni necessarie per estrometterti dal controllo. E’ il mercato, bellezza.

Meno comprensibili sono invece le reazioni allarmate del governo e della maggioranza che lo sostiene. Gli stessi che nel 2015 avevano assistito senza battere ciglio alla scalata francese a Telecom questa volta sono scesi in campo e si sono affrettati a dichiarare Mediaset “strategica per l’Italia”. Il neopresidente del consiglio Gentiloni, dimentico delle sue storiche battaglie in difesa di un moderno sistema televisivo, si è metaforicamente avvolto nel tricolore e ha promesso che vigilerà. E perfino l’AgCom, l’agenzia per il controllo sulle telecomunicazioni, è uscita dal consueto stato comatoso minacciando di impedire l’operazione, che violerebbe non si sa bene quale legge.

I precedenti, per la verità, non mancano. Vent’anni fa D’Alema, allora segretario del PDS, disse che Mediaset era una “risorsa del paese”. Si era nel pieno della campagna elettorale che avrebbe portato alla vittoria di Prodi, e quella clamorosa dichiarazione sancì uno stato di fatto che dura ancora oggi. Ma vent’anni sono tanti, e le cose sono cambiate. Il vento della globalizzazione soffia impetuoso, ed è veramente curioso che a criticarne le possibili conseguenze sul nostro sistema radiotelevisivo siano gli stessi che per anni ci hanno spiegato i vantaggi del mercato, delle privatizzazioni e della libera circolazione dei capitali. L’ultima battaglia combattuta per salvare una azienda italiana dallo straniero “ostile” non ha insegnato nulla. Abbiamo perso milioni di euro di denaro pubblico per continuare a dipingere di bianco, rosso e verde le pinne di coda degli aerei Alitalia. Ma tutto il resto parla arabo.

oltreilponte

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