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Da piccolo gregge ad armata

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Vittorino Merinas

Ciò che il cardinale Bagnasco dichiarava “condivisibile ed assolutamente necessarie” le sue motivazioni ha avuto luogo. “C’è il momento della preghiera, del dialogo, del convegno di approfondimento e anche della presenza in piazza”, teorizzava monsignor Crepaldi, vescovo di Trieste. E la piazza si è espressa, variegata nelle sue componenti e motivazioni e numericamente forte. Forse non nella misura esaltata da chi l’aveva convocata, giacché anche i credenti, se ritti e non accatastati, occupano uno spazio reale non immaginario. E due milioni non son bruscolini. La chiesa da anni pregava, dialogava e discuteva invano per imporre le sue idee. Ora toccava alla piazza, strumento d’apostolato d’ultima generazione per salvare l’Italia dal falso coniugio.
Vittorioso? Si vedrà se ci riuscirà anche questa volta. Però, la storia della chiesa è costellata di sacre battaglie perse. Tempo e fattualità sul lungo periodo sono restii a lasciar spazio alla fortuna. Finiscono per aver ragione di ragioni astratte. Comunque termini la battaglia in corso, il modo in cui si svolge urge ad alcune considerazioni utili ad afferrarne la pericolosità per una serena convivenza ecclesiale e sociale. La chiesa ha certamente il diritto di esporre le proprie idee e questo Paese nient’affatto lo disconosce, anzi lautamente lo finanzia. Ciò non significa, però, una loro supina accettazione. Il regime di cristianità o teocrazia camuffata d’un tempo è stato faticosamente, superato dalla democrazia. In essa devono trovar spazio anche coloro che non condividono il pensiero della chiesa o ritengono di doversene discostare quando la coscienza lo impone loro. Lo Stato può essere criticato e contrastato nelle forme che la democrazia suggerisce e offre, ma senza che si impedisca ai suoi organi di governo di funzionare liberamente e democraticamente.
Chi pensava che il raggio di luce accesosi con Francesco su un Concilio per cinquant’anni oscurato avrebbe illuminato un percorso di rinnovamento, non potrà non sentirsi deluso e frustrato da questa pervicace opposizione della chiesa italiana ad un atto legislativo che dilati l’area dei diritti civili. Atto già tardivo tanto da essere sollecitato dalla Comunità Europea e diritti che né delegittimano né intralciano quelli che la chiesa difende, ormai accolti anche da Paesi a maggioranza cattolica. La famiglia cristianamente intesa non viene né sminuita né attaccata da chi chiede per sé la possibilità di esprimere la propria affettività in altre forme di convivenza fin qui non protette dalla legge. Definirle virali per quella tradizionale è una sciocchezza. L’innegabile crisi che essa soffre ha ben altre cause antecedenti il fiorire delle unioni civili. La gerarchia ecclesiastica, dunque, le cerchi altrove e vi ponga rimedio. A legge in dibattimento approvata, nascerebbe un interessante confronto tra le due forme, a tutto vantaggio della società la cui sanità, come continua a ripetere la chiesa, è fondata sulla cellula familiare, finalmente in serena pluralità.
Una ragione insistita e ritenuta dalla chiesa fondante la sua lotta contro ogni intrusione nel diritto di nuove forme di convivenza, è quella che essa chiama antropologica. Solo la famiglia nella forma triadica di uomo, donna e figlio avrebbe specificità umana e valore universale. Senza compulsare trattati di antropologia, si sa che ciò non è riscontrabile nella realtà. Ogni collettività storica ha gestito in forme diverse la propria riproduzione e l’allevamento dei figli. Se la chiesa ritiene ciò un’aberrazione frutto amaro del peccato cosiddetto originale di Adamo ed Eva, è questione teologica sua che nulla ha a che fare con l’antropologia. In realtà, dal punto di vista storico la famiglia “cristiana” si è andata costituendo nel Medioevo, modellata dalla chiesa sfrondando dalle forme esistenti sempre accolte, gli elementi alieni ai suoi principi morali, dichiarandola sacramento.
Ora ciò che sta succedendo in Italia è stupefacente. La chiesa, dopo aver mosso la piazza, tenta, benedicendo appoggi di qualsiasi provenienza, di bloccare la legge sulle unioni civili. Non le interessano mediazioni. “Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani né mai”, dissero i bravi a don Abbondio. Ora a questo mira compatta la maggioranza dell’episcopato. Non la frena il timore di dividere ulteriormente la comunità ecclesiale, allontanando sempre più coloro che speravano in una reviviscenza del Concilio grazie al nuovo pontificato. Né la turba la crescita del malessere nella comunità sociale. L’essere stata plurisecolare potenza in Italia continua a determinarne presenza ed azione. Né vangelo che la illumini né richiami papali che la smuovano.

Già, ma in questo frangente papa Francesco dov’è?

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