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sabato, 27 Luglio 2024

Cooperativa Arcobaleno, 29 anni di una storia diventata un patrimonio per Torino

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Giulia Zanotti
Giulia Zanotti
Giornalista dal 2012, muove i suoi primi passi nel mondo dell'informazione all'interno della redazione di Nuova Società. Laureata in Culture Moderne Comparate, con una tesi sul New Journalism americano. Direttore responsabile di Nuova Società dal 2020.

“Ci chiamavano ‘la cooperativa dei tossici’, ora offriamo un servizio essenziale per la città”. Sorride Tito Ammirati, presidente della cooperativa Arcobaleno di Torino, nel raccontare la storia di quella che negli anni è diventato un piccolo patrimonio cittadino, un esempio di inclusione e impegno sociale. 

Costituita nel 1992, il prossimo settembre festeggerà i suoi 29 anni. Ma il tempo non sbiadisce i ricordi del percorso straordinario partito da un piccolo gruppo. “I primi soci erano circa una decina, un gruppo quanto mai eterogeneo, ma nato da una comunanza di esperienze ed esigenze. Ovvero tutti avevano terminato il percorso all’interno del servizio semi residenziale del ‘Gruppo Abele’ per il recupero di persone con dipendenze”, racconta Ammirati. Un passaggio che portò a interrogarsi su cosa fare della loro vita fino a decidere di fondare una cooperativa sociale, allora fresche di nascita con la legge dell’8 novembre 1991.
“Un socio pagò l’atto notarile e i primi affitti del capannone per quella che era l’attività di assemblaggio per conto terzi, una mansione poverissima, ma per cui era possibile allora trovare lavoro” ricorda Ammirati. “Poi un anno dopo la telefonata che cambiò la storia di Arcobaleno: Legambiente ci chiese la disponibilità a sperimentare un sistema di raccolta innovativo, il porta a porta”.

Oggi Arcobaleno conta 285 soci e svolge attività diverse, da quella ambientali di raccolta differenziata e della carta (il noto progetto Cartesio) ad attività di digitalizzazione e servizi professionali ed è diventato un vero e proprio gruppo con società di sua emanazione.

Insomma, tempo ed acqua sotto i ponti ne sono passate, ma filo conduttore dell’attività della cooperativa sono le opportunità lavorative che vengono offerte ai suoi soci, persone fragili, con storie di tossicodipendenza alle spalle, per i quali svolgere una mansione significa non solo portare a casa uno stipendio ma essere nel contempo artefici e testimoni del proprio reinserimento nella società.

“Negli anni ’90 tutto era nuovo – prosegue il presidente Ammirati – le cooperative sociali appena nate non avevano sperimentato in maniera concreta l’inserimento delle persone tossicodipendenti. Era una vera scommessa perché la dipendenza è per sua natura ciclica e si alternano momenti in cui si sta bene a ricadute. E per questo è necessario riuscire a organizzare un’attività di impresa, un processo produttivo, che sapesse gestire e resistere alle ricadute”.

Una scommessa vinta. Come dimostrano le storie dei soci che il presidente di Arcobaleno racconta con orgoglio. Non fa nomi, ma dentro le sue parole si rivedono uno per uno tutti i volti di chi ha incrociato il suo destino con quello della cooperativa: “Ci sono persone, che come raccontano loro stesse, a 14 anni ‘avevano l’ago nel braccio’, che il Sert definiva ‘cronici’ senza dar loro alcuna speranza di riabilitazione. Tanti di loro oggi mi mostrano con fierezza le foto dei figli, mi raccontano di aver ottenuto il mutuo per la casa”.
“Quello che mi hanno insegnato – prosegue Ammirati – è l’attenzione e la valorizzazione dell’essenza delle vita. Quelle cose normali a cui noi non badiamo tanto per loro sono il vero obiettivo. La loro gioia è raggiungere, conquistare, quella che noi definiamo normalità”.

In questo processo di conquista di una vita normale il lavoro è l’elemento chiave, la strada maestra per il riscatto. “La riabilitazione da sola non basta, le persone più fragili sono quelle che più necessitano del lavoro come strumento per la propria identità, per un riscatto che non è solo economico, ma anche personale” spiega Ammirati che aggiunge: “La povertà che vediamo non è solo economica, ma anche di affetti e relazioni e anche nel contesto lavorativo cercano questo. Non a caso il lockdown legato al Covid sta incidendo di più sulle persone più fragili a cui manca andare al lavoro e non gli svaghi o il tempo libero”.

Ed è anche per questo che la cooperativa Arcobaleno guarda al contesto futuro non senza nascondere una certa preoccupazione. “L’esperienza delle cooperative sociali nesce proprio per dare una risposta ai bisogni di porzioni di popolazione maggiormente in difficoltà. E’ un modo per ridurre le diseguaglianze e aumentare la sicurezza per il territorio, attraverso il lavoro e non l’assistenzialismo. Ma sembra che questo ruolo non sia più colto. Se viene meno il lavoro come possiamo aiutare le persone più fragili a completare il loro processo di identità?”.


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