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sabato, 27 Luglio 2024

Caso Orlandi, quel rapitore con la tonaca

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Esclusivo da Bolzano, pubblichiamo dal blog di Fabrizio Peronaci, giornalista del “Corriere della Sera” e scrittore, l’ultimo contributo sul caso di Emanuela Orlandi. Oltre a due libri sul giallo della giovane cittadina vaticana, Peronaci ha pubblicato di recente “La Tentazione”, libro-verità su ripetuti scandali sessuali nell’ordine dei carmelitani scalzi.

Video-intervista alla supertestimone Josephine Hofer Spitaler apre una nuova pista. Fu un frate a portare Emanuela a Terlano?
Chi era l’autista senza scrupoli che nell’agosto 1983 guidò l’auto targata Roma e scaricò una ragazza in stato di palese prostrazione davanti a un maso di Terlano (Bolzano)?
Quella giovane era Emanuela Orlandi?
E soprattutto: le nuove rivelazioni consentono di arrivare a uno svolta, tramite l’identificazione dell’uomo misterioso?
All’indomani della missione altoatesina, che ha fruttato la realizzazione di una lunga intervista (scomposta in più filmati) alla supertestimone Josephine Hofer Spitaler, balzano in primo piano aspetti importanti e finora sottovalutati del caso Orlandi.
Come è noto, le dichiarazioni della signora Josephine furono a suo tempo (1985) attentamente vagliate, tanto che condussero all’apertura di un’inchiesta giudiziaria con quattro indagati, due uomini e due donne, tra i quali un funzionario del Sismi.
Ciò dimostra che gli inquirenti la presero molto sul serio: la donna (oggi 83enne) fu interrogata a lungo e quanto da lei riferito sottoposto a rigorosi riscontri, almeno in parte certamente positivi. In caso contrario, mai sarebbe stato avviato un procedimento tanto impegnativo per omicidio e sequestro di persona, su un giallo di enorme richiamo nazionale e internazionale, con il coinvolgimento di ben quattro persone.
È anche vero, però, che alla fine, non riuscendo a dipanare tutti i fili, la Procura di Roma si arrese e optò per l’archiviazione di quella prima inchiesta. Correva l’anno 1997. Si trattò di una scelta inevitabile? Oppure, al contrario, non furono percorsi tutti gli spazi possibili di investigazione? In altre parole: si può affermare con certezza che non fu lasciato qualcosa di intentato in relazione alle verifiche da compiere sul possibile trasferimento di Emanuela Orlandi nel nord Italia?
Ebbene, stando alle ultime novità i dubbi appaiono più che giustificati.
Dall’intervista alla Hofer Spitaler da me realizzata nell’ospizio in località San Paolo (Bolzano) nel pomeriggio del 24 luglio 2018, infatti, emergono alcuni elementi di innegabile peso indiziario.
Tre in particolare: la signora si dimostra lucidissima e pienamente capace di intendere, nonostante le difficoltà nel parlare; la signora conferma che dentro quel maso di Terlano (lei e il marito abitavano al piano superiore ed erano a servizio dei proprietari) sarebbero accaduti fatti gravi; la signora per la prima volta parla di un uomo minuto e quasi calvo che avrebbe scaricato Emanuela nel piazzale di fronte alla tipica costruzione tirolese, prima che la giovane venisse reclusa all’interno.
Proprio quest’ultima novità merita un supplemento di attenzione. Chi era il presunto misterioso “autista” incaricato del trasbordo della quindicenne sparita da Roma il 22 giugno 1983? Dai quasi cinque minuti di intervista (pubblicata il 25 luglio nel Gruppo di G.I.) emerge che si trattava di un “piccoletto”, anzi, un “nano”, come dice con un sorriso, a metà colloquio, l’anziana testimone. Una persona di statura molto bassa, quindi: questo appare fuori discussione.
Ma come perfezionare l’identikit? Esistono forse altre tracce? La risposta è affermativa e nasce da una circostanza quasi casuale. A mo’ di preparazione dell’intervista definitiva, infatti, avevo girato alcuni spezzoni di botta e risposta con la signora, che rivisti in un secondo momento e a un più scrupoloso esame fanno affiorare una rivelazione assolutamente sorprendente.
Il filmato in questione ha la durata di 55 secondi: in esso la Hofer Spitaler si sofferma proprio su di lui, il Mister X che oggi sarebbe importantissimo identificare.
«La ragazza con chi è arrivata al maso?», le domando. E lei, la Hofer, con sicurezza: «Un uomo, piccolo». Di che nazionalità? Risposta altrettanto sicura: era «italiano». «Come si chiamava?», la incalzo. Davanti a tale quesito, la testimone scuote la testa: non lo sa. Però, un attimo dopo, arriva la sorpresa: «Era un militare?», le chiedo. E lei, sforzandosi di farsi capire: «Era un frate….»
Mai, da quel lontano 15 agosto 1983 dell’avvistamento di Terlano, la donna era stata così precisa.
Si tratta di una rivelazione pesante, da approfondire. «Un prete?», le chiedo di nuovo, con tono stupito, per esser certo di aver compreso bene… E lei annuisce, prima della successiva domanda (se sul posto ci fossero delle donne) che chiude il breve filmato.
Lo ripeto, perché il punto è cruciale. Mai, in 35 anni, Josephine Hofer Spitaler si era spinta tanto avanti, al punto di accusare “un frate” di essere stato il rapitore-autista della “ragazza con la fascetta”. Oggi lo fa consapevolmente, sentendosi ormai vicina alla fine dei suoi giorni? Siamo in presenza del classico guizzo finale del supertestimone che per tutta la vita si è tenuto dentro un segreto terribile? La determinazione con cui la donna si sforza di parlare e lo sguardo deciso lasciano trasparire grande forza d’animo.
E – anche questo aspetto merita di essere ribadito – danno la netta sensazione di trovarsi davanti a una persona affaticata nell’eloquio a causa di pregressi ictus, certo, ma nel pieno delle sue facoltà mentali.
Dunque, chi potrebbe essere stato quel “frate”? Forse un benedettino, come lasciano ipotizzare le recenti rivelazioni di un ecclesiastico sulla “consegna” di Emanuela ad esponenti di quell’ordine, la sera della scomparsa?
Sono domande nuove e inquietanti. Che aprono crepe su decenni di omertà e reticenze. Degne di un approfondimento, se davvero si vuole far luce su questo giallo che, a ben guardare, è meno misterioso di quanto si vuole far credere.
Il filmato (come gli altri due già pubblicati nei giorni precedenti) è a disposizione della pubblica opinione del Gruppo di Giornalismo Investigativo. La supertestimone è facilmente rintracciabile.
Avanti, il tempo stringe. Coraggio, uomini della legge e della giustizia. I casi di omicidio non vanno mai in prescrizione e un Paese incapace di misurarsi con le ombre del proprio passato non potrà mai regalarsi un futuro sereno, trasparente, civile.
Fabrizio Peronaci
Il video della supertestimone clicca qui  e  clicca qui 
Dalla pagina del gruppo Facebook “Giornalismo investigativo by Fabrizio Peronaci”
fabrizioperonaci.com

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