15 maggio. Una settimana prima dell’inizio del processo in Corte d’Assise dei quattro No Tav, Claudio Alberto, Nicolò Blasi, Mattia Zanotti e Chiara Zenobi, accusati di un attacco al cantiere Tav nella notte tra il 13 e il 14 maggio al cantiere Tav di Chiomonte e in carcere dal 9 dicembre scorso, la Corte di Cassazione dovrà decidere se sia corretta o meno la contestazione del reato di terrorismo. Questo in seguito al ricorso degli avvocati difensori dei quattro in merito al capo d’imputazione, il 270 sexies, ovvero «attentato con finalità terroristiche, atto di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi, oltre che detenzione di armi da guerra e danneggiamenti».
Risultato dell’assalto al cantiere di cui i quattro No Tav sono considerati i presunti autori: un compressore fuori uso.
E per questo motivo, sempre secondo i magistrati, hanno recato «grave danno all’immagine dell’Italia» (???).
Come detto gli avvocati difensori avevano fatto ricorso a quanto deciso dal gip e dal tribunale della libertà che si erano espressi a favore della contestazione di terrorismo: «È ravvisabile la finalità di terrorismo – hanno scritto i magistrati confermando la misura del carcere – L’azione è idonea, per contesto e natura, a cagionare grave danno al Paese».
«È stata posta in essere – si legge nelle motivazioni del Riesame – allo scopo di costringere i pubblici poteri ad astenersi dalla realizzazione di un’opera pubblica di rilevanza internazionale».
Gli stessi magistrati parlano di «un’organizzazione strategica assimilabile a quella militare e di portata tale da porre in grave pericolo la vita o l’incolumità dei lavoratori».
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