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sabato, 27 Luglio 2024

Appendino taglia il personale della cultura, ma non i dirigenti comunali. Costo dei premi +25%

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Carlo Savoldelli
Carlo Savoldelli
Carlo Savoldelli è un pseudonimo collettivo utilizzato da un numero imprecisato di collaboratori nato per proporre ai lettori di Nuova Società inchieste giornalistiche documentate. Del collettivo fanno parte giornalisti, studenti e professionisti per un giornalismo lento e approfondito.

La fine del 2017 è stato un momento di grande tensione per i lavoratori del settore pubblico torinese. Per la prima volta nella storia della città gli enti hanno avviato una procedura di licenziamento collettivo.
È l’ormai famoso caso del 28 lavoratori della Fondazione Musei Civici, che la Fondazione, col beneplacito del Comune di Torino, ha messo alla porta. Solo l’intervento della Regione Piemonte sta riducendo la portata di questa decisione quantomeno imbarazzante per l’amministrazione comunale.
Ma davvero le risorse pubbliche sono così mal messe da dover sacrificare tre decine di lavoratori e i loro stipendi? In nome di cosa? Della sbandierata (ma quanto mai confusa e contraddittoria) politica di risanamento?
Vediamo se è davvero così.
Al Comune di Torino hanno lavorato nel 2017 93 dirigenti. Erano circa 150 cinque anni fa, erano 112 nel 2015. Questo calo è “fisiologico”, ovvero è dovuto a pensionamenti ordinari e al blocco del turn over dirigenziale in vigore dal 2013. Appena un mese fa, a fine 2017, la Giunta Appendino ha assunto per mobilità un nuovo dirigente.
Eppure, il costo dei “premi” alla dirigenza è stato, sotto l’amministrazione Appendino, in aumento.
Ma cos’è il premio? Tecnicamente, introdotta alla fine degli anni Novanta, la Retribuzione di Risultato – questo il nome corretto – voleva superare lo strumento degli scatti di anzianità per introdurre il concetto diraggiungimento degli obiettivi: se a fine anno avrai raggiunto gli obiettivi che l’amministrazione ti ha assegnato, riceverai il premio o parte di esso. Ed è una fetta significativa della retribuzione della dirigenza.
Ebbene, dai dati pubblicati sul sito del Comune, emerge una realtà sconvolgente: la retribuzione di risultato nel 2017 (e rispetto al 2015) è mediamente aumentata del 25% per dirigente.
Se nel 2015 l’ente spendeva per 112 dirigenti quasi 1,35 milioni di euro, nel 2017 ne ha spesi 1,45 per soli 93 dirigenti. Insomma, i dirigenti sono sempre meno, ma sono sempre più pagati. La delibera a firma Rolando è stata approvata l’11 ottobre 2016.
Restano in pole position tra i più pagati il direttore Giuseppe Ferrari, con 135 mila euro di stipendio e 42mila di premio e, tra gli apicali, il segretario generale Mauro Penasso, con 135 mila euro di stipendio e 13,5mila di premio. Due importi simili in quanto la retribuzione di posizione del segretario non deve essere inferiore a quella stabilita per la funzione dirigenziale più elevata dell’Ente – cosiddetto galleggiamento.
In pratica, se aumentasse lo stipendio del primo dirigente, aumenta anche quello del segretario. Insomma, può sembrare un paradosso, ma la seconda figura guadagna di più se aumenta lo stipendio della prima.
Occorre precisare che l’erogazione dei premi è soggetta a contratto collettivo di lavoro e a contrattazione integrativa aziendale. In passato – fa notare un ex dirigente in pensione – ogni anno si apriva una sofferta trattativa sindacale per ridurre il costo della dirigenza (e non solo) in cui l’amministrazione di centrosinistra “ha tagliato” fino a 1 milione di euro al comparto; oltre ai tagli di legge si agiva con delle riduzioni (duramente) contrattate. Sembra che col nuovo corso ciò non sia accaduto. E i dati solo lì a confermarlo.
Probabilmente se qualcuno avesse contenuto i premi alla dirigenza come in passato, avrebbe avuto le risorse per pagare due anni di stipendio ai 28 malcapitati.
Ma perché accade questo proprio ad una amministrazione Cinque Stelle che sembrava aver fatto una bandiera del contenimento dei costi e che ora è all’onore della cronaca per avere assunto un esercito di staffisti e collaboratori esterni?
C’è chi insinua che la Appendino avesse bisogno di insediarsi in un clima di “consenso” degli alti funzionari comunali e che quindi non abbia intenzionalmente toccato i costi del personale apicale. Altri sostengono che sia stato messa in atto una “delega” ad un gruppetto di dirigenti ritenuti “fedeli” in quanto convertitisi rapidamente al verbo grillino e che questi, una volta ricoperti i ruoli più importanti abbiano agito secondo logiche di potere tutte interne. C’è pure chi sostiene le due ipotesi insieme.
Comunque sia andata, oggi la realtà e i fatti parlano da soli: mentre si mettono sul lastrico molte famiglie, si spende e spande per i premi alla dirigenza.
Strana idea della “redistribuzione” ha l’amministrazione pentastellata.

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