di Vittorino Merinas
Come si è detto precedentemente, la dottrina ecclesiastica è rigorosa nel rifiutare la comunione ai divorziati risposati come a chi è in una convivenza non sacramentale, tanto più se omosessuale. Chi è in stato di peccato mortale, e tali sono i soggetti di quelle relazioni, non può ricevere l’eucarestia. Una loro riammissione alla comunione ecclesiale richiederebbe un cambiamento dell’insegnamento della chiesa su sessualità e matrimonio, in modo che quelle situazioni non siano più giudicabili mortalmente peccaminose. Peccato mortale e comunione, come capra e cavoli, si disdicono.
Operazione possibile? Una consistente maggioranza di credenti, con alla testa papa Francesco, lo vorrebbe. Si tratta, però, di intervenire direttamente sulla dottrina tradizionale per non vendere soluzioni pataccose ed ipocrite per autentiche. Farlo significa ammettere che una dottrina, soprattutto morale, deve sempre fare i conti con le problematiche del tempo senza irrigidirsi sul passato. Un cambiamento epocale per la chiesa: riconoscerebbe che l’inviolabile tradizione cui vuole essere fedele, più che formule è uno s(S)pirito che soffia ed orienta. Un terremoto dalle conseguenze imprevedibili. Eppure l’autorità gerarchica dovrebbe assumersene il rischio se vuole rinverdire i propri rami invogliando l’uomo contemporaneo a tendervi la mano per valutarne i frutti. Ci sono luoghi dottrinali da indagare per dar soluzioni vere a problemi apparentemente irrisolvibili.
1-. Un leitmotiv di tutti gli ultimi pontefici, Francesco compreso, è la difesa della libertà religiosa Essa sottintende, però, la libertà del credente di misurarsi con la propria fede, sulle cui proposte il giudizio ultimo deve essere lasciato alla coscienza personale. Nessuno può sostituirsi ad essa e sentenziare su chi è parte o no della chiesa in base a principi assoluti ed astratti. Tocca alla persona calarli nella propria specificità esistenziale, valutare la propria appartenenza alla comunione ecclesiale e partecipare o no ai suoi segni, nel caso l’eucarestia. La chiesa che solo tardivamente ha accolto la libertà di coscienza, deve decidersi finalmente ad accettarne le conseguenze.
2- L’indissolubilità del matrimonio troverebbe appoggio nel vangelo di Matteo, capitolo 19. Alcuni farisei chiedono provocatoriamente a Gesù se sia lecito ripudiare la moglie “per qualsiasi motivo”. La risposta è netta: “Quello che Dio ha congiunto l’uomo non separi”… “Chi ripudia la propria moglie, se non per impudicizia, e sposa un’altra, commette adulterio”. In tutto 9 versetti molto complessi da analizzare attentamente in tutte le loro sfumature, senza da subito ritenere quel richiamo a ciò che fu all’inizio biblico dell’umanità un imperativo senza rimedio. L’aspetto di controversia, il libello di ripudio istituito da Mosé, la durezza del cuore del popolo ebraico che lo motivò, l’atteggiamento di Gesù per nulla scandalizzato di ciò e la sua ammissione di un’eccezione sono tutti elementi da tenere presenti per un’esegesi non preguidata. Il divorzio c’è stato, un’autorità lo ha concesso, anche Gesù in un caso lo ammette. Allora tre interrogativi: Gesù dava un comando o esprimeva un auspicio? Oggi la “durezza del cuore” è scomparsa? La chiesa val meno di Mosè?
3- L’indissolubilità del matrimonio tra un uomo ed una donna sarebbe confermato dal suo essere il riflesso dell’unità sponsale tra Cristo e la chiesa. Così dice san Paolo nella lettera agli Efesini, secondo il quale i due rapporti si rispecchiano e le caratteristiche di questo coinvolgono quello. La fedeltà eterna di Cristo alla sua sposa impegna quanti col matrimonio sacramentale sono diventati “una sola carne”. Il matrimonio non sarebbe solo metafora della mistica unità tra Cristo e chiesa, ma la sua forma terrena. Visione eccelsa, ma concettualmente fragile. Si tratta, infatti, di due ordini di realtà diversi: mistico e terreno. I caratteri dell’uno non possono trasferirsi nell’altro. Se già la chiesa è “santa e meretrice”, che si può chiedere ad una coppia di mortali in sé sempre fallibili, magari già nella decisione di sposarsi? Un’erronea unione può realizzare “un corpo solo”? Un errore senza alcuna possibilità di redenzione? Avevano ragione i discepoli a concludere che, se così si vuole in cielo, è “meglio non sposarsi”, per evitare il rischio di condannarsi ad un ergastolo matrimoniale. Il teologo Ratzinger insegnava che la ragione apre alla fede. Qui desta ripulsione!
4- Ogni singolo atto sessuale è lecito, per la chiesa, solo se aperto alla procreazione e solo nel matrimonio sacramentale. Né amore o altra ragione lo giustificano. La riproduzione è il principio che moralizza la sessualità. Un assurdo che se non verrà affrontato non ci sarà Sinodo che potrà risolvere, seriamente, i problemi che la chiesa ha davanti a sé. (Capra e, 2, fine)