La notizia si diffuse in un lampo sul mio luogo di lavoro. Così veloce che in un istante appartenne a tutti. Non ci volle molto a dichiarare lo sciopero, seguendo le indicazioni di Cgil Cisl e Uil.
Ci si ritrovò in una quarantina, uno su cinque dei dipendenti, lungo la strada che portava in piazza San Carlo dov’era stata annunciata la reazione di protesta contro il sequestro che passo dopo passo era diventato anche l’omicidio dei cinque uomini della scorta del presidente della Dc.
Non ho memoria nitida dei discorsi. Ma sono immaginabili. Si era sconvolti. Torino era sconvolta. Il processo ai capi storici delle Brigate rosse, ai Curcio, ai Franceschini, si era appena iniziato. Ma la faticosa e tormentata apertura delle assise era stata preceduta un lungo e crudele necrologio scritto dal terrorismo.
Dal piombo dei brigatisti rossi erano stati falciati nel 1977, ad aprile, il presidente dell’Ordine forense Fulvio Croce, e a novembre il condirettore de La Stampa Carlo Casalegno. E pochi giorni prima dell’azione criminale in via Fani, il 10 marzo, alla fermata del tram n. 7 in largo Belgio, la colonna torinese delle Br al comando del futuro pentito Patrizio Peci, aveva straziato a colpi di pistola la figura di uno dei servitori dello Stato più capaci nella lotta al terrorismo, il maresciallo di pubblica sicurezza Rosario Berardi.
Con queste immagini nella testa si arrivò in piazza San Carlo. E il pensiero piu importante sembrò a tutti di esserci, di essere uniti. Ma nessuno si prefigurava il sangue che si sarebbe ancora versato a Torino negli anni successivi.