di Vittorino Merinas
Che l’insegnamento della chiesa si evolva anche in suoi elementi sostanziali è indubbio per chi sa qualcosa di storia della morale e dei dogmi cattolici. Ma ciò avviene con una tale lentezza che ne conseguono due effetti. Da una parte è impercettibile alle singole generazioni e quindi la chiesa ha buon gioco nell’affermare la perennità della sua dottrina. Dall’altra, essendo in ritardo sui processi storici rende la chiesa inattuale nell’affrontare i problemi che essi comportano. Ne dà prova il recente Sinodo che nel documento conclusivo, riallacciandosi al Concilio Vaticano II, definisce il matrimonio “comunità di vita e di amore” sottolineando che “l’amore è il centro della famiglia”. Se per l’uomo comune è un’ovvietà, così non è stato per la chiesa che ancora negli anni ’50 del secolo appena trascorso, nei suoi testi seminaristici definiva il matrimonio “contratto col quale l’uomo e la donna naturalmente abili, vicendevolmente si cedono e accettano il diritto perpetuo ed esclusivo sul corpo in ordine agli atti di per sé capaci di conseguire la generazione della prole”. Una definizione senz’anima, cui è estraneo l’amore, cercato, se del caso, altrove. Un pattuire l’uso di corpi per la riproduzione, a garanzia d’un passaggio sicuro e certificato dei beni del casato, grande o modesto che sia. Visione medievale etichettata come sacramento nel XII secolo. Essa ha attraversato indenne i secoli fino al Concilio Vaticano II, che, sulla spinta dei tempi diede calore umano a quel freddo contratto sull’uso dei corpi, riconoscendo l’amore come elemento tutt’altro che accessorio del rapporto coniugale. Quell’ultrasecolare arida concezione del matrimonio cristiano fu archiviata solo nel 1983 con la riforma del Codice di Diritto Canonico dov’era incastonata.
Ora il Sinodo ha elevato un peana all’amore anima del matrimonio e della famiglia. E non poteva essere diversamente in una società che rifiuta l’idea che la sola riproduzione possa motivare un così impegnativo legame e giustificare la vita sessuale. Anche per la chiesa, finalmente, il matrimonio non è più una conigliera per la riproduzione, ma il coronamento d’un amore che potrà essere fertile di nuove vite. Il coniugio è innanzitutto la decisione d’un rapporto tendenzialmente stabile tra ‘persone’ libere, prima e al di là di una sua manifestazione sociale e anagrafica. ‘Persone’ che con dignità e responsabilità cercheranno i modi di espressione e realizzazione del loro amore, senza frapposizione di supposte primazie riproduttive e processi ormonali.
Un secondo elemento innovativo, esso pure con radici nel Vaticano II, della visione tradizionale che la chiesa ha della realtà fa capolino nelle conclusioni del dibattito sinodale. Anche nel semplicemente umano, vi si afferma, sono presenti interessanti e promettenti positività. Il mondo extraecclesiale non è tutto e sempre sotto l’impero del diavolo. Sia in altre denominazioni religiose che nella ordinaria realtà sociale qualcosa gli sfugge. Così nel paragrafo 22, con riferimento all’apprezzamento del Concilio per “gli elementi validi presenti nelle altre religioni e culture nonostante i limiti e le insufficienze”, si afferma che ciò potrebbe applicarsi “per alcuni versi, anche alla realtà matrimoniale e familiare di tante culture e di persone non cristiane. Ci sono, quindi, elementi validi anche in alcune forme fuori del matrimonio cristiano, comunque fondato sulla relazione stabile e vera di un uomo e di una donna”. Di conseguenza “una sensibilità nuova della pastorale odierna consiste nel cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze”. Questo il pensiero della maggioranza dei Padri sinodali. Non solo nei matrimoni civili e nelle stesse semplici convivenze ci sono affinità con i valori che la chiesa ritiene determinanti nei matrimoni cristiani, ma quelli sono “orientati” a questi, tanto che “quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso il vincolo pubblico… può essere vista come un‘occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio”.
Sarà poco, ma il Sinodo consacra senza possibilità di ritorno due indicazioni del Vaticano II: l’amore è costitutivo del matrimonio ed è presente anche nelle sue forme comunque estranee alla sacramentalità cattolica. Certo nella loro genericità non possono risolvere i problemi per i quali fu convocato il Sinodo dalle due fasi. Tutto è ancora da decidere. Quei due riconoscimenti, però, se adeguatamente e coraggiosamente approfonditi, potrebbero aprire percorsi risolutivi ancora non ben marcati, sicuramente aspri e conflittuali, ma a cui la chiesa non può sottrarsi se vuole ricollocarsi con credibilità in una realtà in cui le verità eterne non hanno più spazio.