Manca veramente poco al Congresso Metropolitano del Partito Democratico di Torino. Le varie anime da tempo stanno lavorando per prepararsi a questo importante appuntamento, anche alla luce di quanto sta avvenendo a livello nazionale e a un anno dalla sconfitta di Fassino e la vittoria di Appendino.
Per la segreteria ormai i giochi sono fatti, con Mimmo Carretta come unico candidato. Nuovasocietà dà spazio a questo dibattito ospitando il contributo di Rete Dem (i cui esponenti più noti sono l’europarlamentare Daniele Viotti, il consigliere comunale Chiara Foglietta e Fabio Malagnino dell’assemblea nazionale), vicini alla mozione Orlando, pubblicando integralmente il documento per poi nei prossimi giorni riportare i commenti dei protagonisti.
Aperto, laico, collaborativo, di sinistra.
Suggestioni per il PD metropolitano di Torino del 2020
Lo spazio della politica negli ultimi anni è mutato profondamente, diventando un campo dove si confrontano partiti senza società, leader senza partiti, in rapporto diretto con il pubblico attraverso la televisione e la rete, con la fiducia sempre più logorata dalla crisi economica.
Il PD è l’unico grande partito nazionale in linea con l’art. 49 della Costituzione, l’unico “motore di cittadinanza” che consenta ai cittadini di concorrere in modo democratico a determinare la politica nazionale e locale. Questo patrimonio non va disperso, ma va curato e messo a frutto.
Noi crediamo nella necessità di una forza politica popolare, ancorata alla società dai valori della democrazia enunciati dalla nostra Costituzione, che interpreti in modo nuovo e con lo sguardo al futuro un’idea di sinistra senza perdere di vista le differenze, antiche e nuove, con la destra e i suoi valori.
L’ipotesi di un partito che sposti il suo asse a destra per contrastare l’avanzata dei populisti nega l’esistenza di idee, bisogni e interessi che possono essere, e spesso sono, alternativi e in competizione tra loro.
Un partito che abbandona la sua naturale collocazione di valori e fa proprie espressioni tipiche del linguaggio neo-securitario è un partito che sdogana istinti e parole d’ordine che comprimono lo spazio di decenni di fondamentali conquiste democratiche.
La lezione che ci arriva dalla Germania dimostra che anche lo schema “responsabili contro populisti” mostra i suoi limiti e, spesso, chi ne fa le spese sono le forze di matrice socialdemocratica.
Il congresso metropolitano che stiamo per celebrare rappresenta idealmente una cesura con una stagione difficile per Torino e l’area metropolitana, segnata dalla sconfitta bruciante del 2016 e dalla difficoltà di interpretare la complessità di una società che cambia rapidamente, con enormi problemi irrisolti di marginalità economica e sociale che lasciano spazio a ritorni che credevamo definitivamente consegnati alla storia.
Noi vogliamo lavorare perché il Pd sia sempre di più un partito che si adoperi per un paese inclusivo e modello di integrazione; un PD che affronti le politiche del lavoro senza calpestare i diritti acquisiti, ma rafforzandoli, rinnovandoli e rendendoli fruibili da un mercato che sta cambiando profondamente.
Vogliamo militare e dirigere un partito che veda nell’innovazione un elemento strategico per il paese e ne faccia strumento di sviluppo cogliendone tutte le opportunità.
Un PD che sia vigile a non porgere mai il fianco a fenomeni di corruzione e che sia sempre baluardo di Legalità.
Tutto ciò deve avvenire a tutti i livelli, e sicuramente deve partire dalla dimensione più locale come il PD metropolitano.
A chi si candiderà alla carica di segretario metropolitano chiediamo un impegno specifico sull’organizzazione del partito, nell’ottica di una promozione attiva delle migliori energie che stanno sui nostri territori e di una diffusione delle migliori pratiche.
Vogliamo stare nel Pd con la forza delle nostre idee e con la convinzione di riuscire a trovare consenso alle nostre proposte. Sosterremo senza pregiudizi chi le porterà avanti, ma non mancheremo di batterci per le ragioni in cui crediamo, attraverso il confronto e la leale sfida delle idee.
Rapporto Circoli/Federazione Metropolitana
Pensiamo sia fondamentale mantenere attiva e stabile la catena di comunicazione tra circoli e Federazione, attraverso un percorso organizzativo che chieda innanzitutto ai circoli di comunicare un piano progettuale. Un “patto vincolante” che andrà monitorato e presidiato affinché ne vengano rispettati gli impegni.
I circoli territoriali sono realtà vive che vanno valorizzate e ripensate.
È necessario mettere in rete i circoli per permettere a tutti gli iscritti ed elettori di accedere alle attività proposte e condividere le buone pratiche che emergono dai vari territori. In questo le nuove tecnologie rappresentano uno strumento straordinario di costruzione di comunità.
Il Partito metropolitano deve avere un’unica voce e un solo strumento di comunicazione. I siti statici di ogni Circolo devono confluire in una piattaforma dinamica e comune, collaborativa, dove sono inserite le attività politiche, i riferimenti e l’agenda. Nel nuovo strumento dovrebbero rientrare anche le attività dei nostri amministratori, creando così un archivio open dove si possono condividere e scambiare le buone pratiche.
I circoli del Pd sono l’unica infrastruttura democratica rimasta nel paese, agevoliamo gemellaggi virtuosi tra circoli evitando doppioni di temi e concentriamo le attività sul livello territoriale. Va fatto quanto prima uno screening della situazione economica di tutti i circoli, una mappatura puntuale che preceda l’individuazione dei circoli che necessitano di supporto economico e, nel caso, quali realtà non sono più in grado di sostenersi.
Istituiamo un fondo economico a livello centrale a sostegno delle emergenze, che faccia periodicamente un report alla direzione metropolitana.
L’area metropolitana, un’opportunità da cogliere
Le istanze che arrivano dai territori che compongono la Città Metropolitana sono un’opportunità da cogliere realmente e non un “titolo” di cui spesso non sappiamo definire il perimetro.
Gli amministratori locali nella città metropolitana, pur nella diversità delle loro esperienze, riconoscono ancora nel Pd un luogo di confronto.
Non possiamo considerare lo spazio metropolitano come un Moloch unico privo di specificità, ci sono almeno tre livelli da considerare: Torino, prima cintura, seconda cintura. Esistono inoltre le aree omogenee, accomunate dalla gestione dei servizi.
Vanno rafforzati i coordinamenti territoriali e messi nelle condizioni di funzionare con efficacia. Dovranno fare rete, con interazione continua sulla gestione delle problematiche politiche quotidiane dei singoli circoli, anche sfruttando gli strumenti che la tecnologia ci offre.
Oggi c’è un’enorme confusione tra sfera amministrativa e sfera politica, quindi è importantissimo imparare a scindere nuovamente le due dimensioni.
Va resa sistematica la riunione tra segretario e segretari di circolo dell’area metropolitana in modo che il Pd venga vissuto come comunità ospitale e non come soggetto d’interdizione.
In un’ottica di sussidiarietà va data autonomia ai coordinamenti territoriali (che potrebbero essere coincidenti con le aree omogenee della Città Metropolitana), garantendo sostentamento economico e strumenti per poter lavorare, fare rete, condividere le soluzioni amministrative, organizzare iniziative.
Identico discorso vale per il coordinamento della Città di Torino, riunito solo occasionalmente e in situazioni di emergenza contingenti, che può diventare un luogo di confronto ed elaborazione per costruire, fin da ora, una strategia in grado di riportarci al governo del capoluogo.
Re-intermediare la politica: i nostri amministratori
Nella politica di oggi, nella “democrazia del pubblico”, i partiti si riducono a comitati di dirigenti che, per mantenere il consenso, attribuiscono spazio crescente alla personalizzazione e alla comunicazione, in uno scambio non mediato, disintermediato, con l’opinione pubblica.
Gli amministratori sono le nostre antenne sul territorio, fondamentali per un partito in grado di ascoltare le periferie fisiche e sociali, i cittadini che non si sentono più rappresentati e hanno perso fiducia nella politica e nelle istituzioni.
I circoli cittadini tornino ad essere punto di riferimento per i governi decentrati e il segretario metropolitano torni ad essere un punto di riferimento per gli amministratori locali.
Re-intermediamo la politica, chiediamo una presenza costante dei nostri eletti nei quartieri, nei mercati, non solo in presenza degli appuntamenti elettorali. Occorre tornare ad essere tra le persone, non viviamo nell’illusione di bastare a noi stessi, una comunità politica è in grado di crescere se sa ascoltare, se sa mettersi in discussione.
In alcuni circoli si è già avviata una forma sperimentale di incontri che, nel fine settimana, coinvolge direttamente gli eletti per raccontare ai cittadini il lavoro capillare che viene svolto quotidianamente.
Diamo spazio a queste esperienze, apriamole anche alle associazioni e alle nuove forme di cittadinanza attiva, perché solo dal dialogo, dalla presenza e dall’apertura possiamo ricostruire un rapporto di fiducia con chi ci ha abbandonato per seguire le sirene di soluzioni facili e immediate.
Scuola di formazione per iscritti e amministratori
Abbiamo urgentemente bisogno di formare e costruire una classe dirigente che abbia lo sguardo lungo. Per fare questo il Partito deve attivare una scuola di politica divisa in due strade parallele che possono incontrarsi a fine percorso. Una scuola per amministratori pubblici con l’obiettivo di conoscere e capire i modelli di governo, l’architettura istituzionale, il funzionamento della Pa e la costruzione di politiche pubbliche. La seconda scuola dedicata ai militanti con l’obiettivo di costruire una base sui valori e i riferimenti culturali e politici del nostro partito. Il rischio che incorre un Partito è il distanziare la figura dell’Amministratore da quella dell’iscritto. La formazione è un passaggio nodale per unire i vari ruoli e costruire luoghi permanenti dove chi amministra o legifera si confronta con chi vive la professione o la semplice militanza.
I forum provinciali sono stati un momento di formazione politica che spesso però non ha trovato un giusto riconoscimento in un percorso condiviso e organico. Il ripensamento dei forum va visto quindi nell’ottica di potenziarli e renderli più dinamici, andando nelle realtà territoriali dove si concentrano.
Come nella società, la formazione avviene per vari gradi e in vari luoghi. Anche il Partito deve quindi ripensare a questo modello, intercettando le istanze, i problemi e/o le eccellenze che non si avvicinano più a noi.
I forum, con i loro protagonisti attivi, si devono anche trasformare negli stakeholder per i Circoli periferici, andando a colmare direttamente dei naturali vuoti e indirettamente responsabilizzando i partecipanti di questi.
Il ruolo del partito in una società ipercomplessa
Oggi ci sono diversi modi di contribuire alla vita di partito: c’è chi è sempre presente e organizza quella quotidianità indispensabile per un’unità di base; c’è chi è uno sporadico militante che però contribuisce al dibattito culturale interno; e ora c’è anche chi non può garantire una militanza “fisica” ma che contribuisce alla vita del partito grazie al suo networking. C’è una militanza “quantitativa” e una “qualitativa” che possono convivere, necessarie entrambe per ridare sostanza alla nostra politica, si legge sul documento dei Luoghi Ideali di Fabrizio Barca.
Siamo di fronte all’emergere di un arcipelago, a una rete di militanze, a multiformi modi che la contemporaneità e le nuove tecnologie ci mettono a disposizione. Iscritti, elettori, volontari, ma anche chi milita in organizzazioni di cittadinanza attiva o chi mette a disposizione il proprio sapere attraverso centri studi, riviste o think-tank.
Oggi “l’asse della mobilitazione si è spostato entro settori sociali molto più frammentati, molto più acculturati e gelosi della propria indipendenza, più insofferenti ai rapporti comando-obbedienza, complessi e per tutti questi motivi meno stoccabili nei contenitori di una volta”, così scrive Marco Revelli in Finale di partito.
Alla gerarchia subentrano network o reti organizzative, i confini con l’ambiente esterno sfumano e al loro posto subentrano complessi sistemi di scambio, dove i gruppi più o meno organizzati tendono a sviluppare delle relazioni più aperte e informali rispetto ai partiti politici.
Come il vecchio partito di massa organizzava la democrazia aprendo le porte dello Stato ai ceti popolari, così oggi un partito che voglia chiamarsi democratico non a parole deve aprirsi ed essere permeabile alla creatività sociale.
Le trasformazioni che sono sotto i nostri occhi obbligano i partiti, il nostro partito, a tenerne conto, a operare uno sforzo di apertura verso le nuove forme espressive con le quali le persone si rapportano alla politica.
Rottamare le pratiche “novecentesche”, rischia di essere un’espressione vuota e non adeguata ai tempi.