Definirla Guerra fredda è probabilmente, oggi come oggi, esagerato. Sicuramente però, quella ucraina, è quantomai una guerra di frontiera che da tempo sta facendo traballare lo status quo dello scacchiere geopolitico che il Novecento ha concepito. Le tregue fin qui raggiunte fra il governo centrale dell’Ucraina, imboccato dall’Occidente, e le componenti separatiste del Sud-Est del Paese, sostenute dalla Russia, hanno avuto sempre vita breve e precaria: anche se negli ultimi mesi il livello del fuoco si è decisamente abbassato rispetto ad un anno fa, la tensione rimane altissima e pericolosa. Nelle ultime 24 ore sono state 19 le persone uccise: 14 civili e 5 militari.
Il passaggio fin qui evocato ma non avvenuto, nelle prossime ore potrebbe divenire realtà: la Nato è pronta a schierare 5mila uomini e 6 centri di comando dell’Alleanza Atlantica nell’Est dell’Europa, come risposta alla crisi ucraina. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha spiegato che si tratterà del principale provvedimento di rafforzamento della difesa occidentale dalla fine della Guerra fredda. Una mossa che, se compiuta, potrebbe cambiare il valore delle carte sul tavolo. Superfluo far presente quanto questa decisione innalzerebbe l’ordine della crisi. La risposta della Russia non tarderebbe ad arrivare.
Anche gli Stati Uniti di Barack Obama stanno valutando se inviare armi per sostenere le truppe ucraine. Oggi il segretario di Stato americano, John Kerry, sarà a Kiev, per incontrare il presidente Petro Poroshenko, il premier Arseniy Yatsenyuk, il ministro degli Esteri Pavlo Klimkin ed altre autorità dell’Ucraina. Sempre oggi, a Bruxelles, i ministri della Difesa della Nato si incontreranno: in quella sede decideranno la strategia atlantica da assumere sul fronte della guerra che abita l’Europa.