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sabato, 27 Luglio 2024

Tornano a Roma i manifesti su Emanuela Orlandi. Trovata commerciale per docu-serie Netflix

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

Scomparsa per tenere nascosto un segreto vaticano?, vittima di un gioco di potere? Azione della Banda della Magliana? o terrorismo internazionale?  

Sono gli interrogativi riportati nei manifesti che sono apparsi oggi a Roma  con l’ormai iconica l’immagine di Emanuela Orlandi con la fascetta del 1983. Manifesti rivisti rispetto l’originale riportanti oltre agli  interrogativi sulle cause del sequestro, anche una frase del fratello Pietro. Sono stati affissi a Piazzale Clodio e in altre zone della capitale (viale Corso Regina Margherita).  

La coincidenza con l’uscita odierna su Netflix della docu-serie dedicata al caso Emanuela Orlandi, dal titolo “Vatican Girl”, ha fatto subito pensare ad una iniziativa pubblicitaria, confermata dallo stesso Pietro Orlandi su Fanpage. Una produzione, quella in uscita, che approfondisce in modo ampio varie piste e ipotesi emerse dietro la sparizione della quindicenne cittadina vaticana, con diversi interventi tra i quali quello di Marco Fassoni Accetti. Il fotografo 66 enne che si è autoaccusato dei sequestri Mirella Gregori e Emanuela Orlandi.

 L’iniziativa ha fatto trapelare qualche perplessità tra alcuni protagonisti della vicenda su un mistero che si trascina da 39 anni e quattro mesi.

Resta enigmatico il riferimento alla pista internazionale. Ipotesi che fu ritenuta fin dal subito (1983) la più plausibile, anche sulla base dei reiterati appelli in mondovisione dello stesso Papa Wojtyla. Una pista avvalorata dal clima di guerra fredda e dalla cosiddetta pista bulgara dietro l’attentato al Papa (seguita dal  giudice Ilario Martella). 

 Un sequestro e un ricatto che, secondo questa tesi, sarebbe legato al tentativo di arginare le spinte anticomuniste del Vaticano (con due fazioni in lotta sull’ostpolitik) e soprattutto limitare quel flusso di finanziamenti occidentali verso il sindacato Solidarnosc. Fondi, anche di dubbia provenienza (Mafia – Ior di Marcinkus), fondamentali nel creare quelle prime crepe polacche che furono il viatico del crollo dell’impero dell’orso sovietico.   Nell’inserire il sequestro della quindicenne cittadina vaticana in questo mosaico internazionale  è stato considerato come elemento importante  il fatto che, subito dopo la sparizione della ragazza,   Ali Agca, il lupo grigio che attentò al Papa polacco in piazza San Pietro nel 1981,  ritrattò dal carcere  le accuse contro quei bulgari, rimasti nell’immaginario collettivo di una generazione, come Sergej  Antonov e i suoi colleghi dello scalo BalKan Air di Roma ,  in  realtà un covo di spie al servizio di Mosca.    La questione si intersecò con diverse altre piste e ipotesi che vedevano spesso al centro il Vaticano e le sue fazioni.

Sulle altre piste restano evidenti riscontri e richiami al ruolo della Banda della Magliana e per quanto emerso su quel Don Vergari ex rettore della basilica di Sant’Apollinaire  frequentato da Emanuela per i suoi corsi di musica. 

 Tornando ai manifesti, il discorso potrebbe dare fiato a quelle  voci critiche che da tempo denunciano come il caso sia diventato una sorta di brand ottimamente vendibile sul quale  si pubblicano  libri, film  e si fanno carriere alle spalle di una ricerca della verità che resta al palo, in cui sono da sempre evidenti  depistaggi con  l’intervento dei servizi. Come nel caso delle tre voci maschili con accento romanesco, fatte sparire da una cassetta (ritrovata il 17 luglio 1983 sotto la sede romana dell’Ansa e periziata da Sismi e Sisde) in cui una ragazza, che sembra proprio la povera Emanuela, sarebbe sottoposta a sevizie. 

Certo le premesse di questo complesso nuovo lavoro sul caso Orlandi, ricostruito con la partecipazione di diversi suoi protagonisti, a partire dal fratello Pietro e dal giornalista investigativo Fabrizio Peronaci (autore di tre libri sulla vicenda) che interpreta se stesso, sono ottime anche alla luce del fatto che, oltre all’ampiezza dei contributi, si tratta di una  produzione americana evidentemente   più lontana da possibili influenze vaticane e dei servizi.

Nel docufilm, come detto, è presente anche la testimonianza di un personaggio chiave e discusso come Marco Fassoni Accetti di cui è comprovata la partecipazione a fasi chiave della vicenda. Si tratta dell’uomo che fece ritrovare il flauto della ragazza, riconosciuto come il telefonista definito “l’amerikano”. Un personaggio tornato recentemente alla cronaca in quanto le sue reiterate affermazioni sul caso Skerl, “quella tomba è vuota”, hanno recentemente e finalmente trovato una sconvolgente verifica che potrebbe aprire nuovi squarci di verità.

Insomma il caso continua ad alimentare polemiche e quei manifesti,   affissi dopo 39 anni e quattro mesi da quel maledetto 22 giugno 1983, riaccendono l’attenzione sul caso grazie all’arrivo di questo docufilm che dovrebbe costituire un positivo elemento  per   inquadrare e fare luce su una  matassa di elementi, indagini  e piste che si sono susseguite nel tempo. Una matassa forse volutamente fatta diventare inestricabile per rendere quanto mai difficile l’individuazione delle sua vera matrice e dei suoi responsabili materiali e mandanti, tra diverse cause che, con tutta probabilità, s’intersecano e che, a volte, contrastano totalmente.  

Non esistono misteri ma è fondamentale che tutti gli elementi e contributi utili, indipendentemente da dove arrivino, vengano presi in considerazione. 

Ricordiamo che il caso Orlandi è stato archiviato nel 2015 e che solo la tenacia del fratello Pietro, con le sue iniziative, non  lo hanno ancora trasformato in un cold case valido solo per serial tv. Indubbiamente, anche dopo tanti anni, coloro che sanno e che hanno visto continuano incredibilmente a tenere la bocca cucita (o si sono portati il segreto nella tomba), nonostante diversi dati e  prove emerse siano inconfutabili, come la confusione e la nebbia che impedisce di trovare una definitiva risposta sulle motivazioni, sui responsabili  e sul luogo dove si trova la povera Emanuela. L’augurio è che questo nuovo complesso docufilm possa fornire qualche elemento per continuare in quella ricerca di verità che ha poco a che vedere con l’audience di un programma.

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