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L’emergenza che tutti stiamo vivendo è entrata prepotentemente nelle nostre vite e nel tessuto sociale e produttivo. In questi giorni si stanno moltiplicando tanto gli appelli quanto i consigli per ciò che tutti definiscono fase 2, cioè la riapertura e il ritorno, il più possibile, alla normalità.

Credo fermamente però che non sia mai possibile dare risposte semplici a problemi complessi e, in questi momenti, dinanzi alla straordinarietà e complessità di ciò che dobbiamo affrontare, non sia ammissibile neanche pensare a ricette semplificate che risolvano in modo quasi miracolistico il problema. Ciò non toglie però che ciascuna persona, che abbia delle competenze specifiche mutuate dagli studi o dall’esperienza, debba sentire l’imperativo morale di contribuire, per la propria parte di competenza, a uscire dall’emergenza e a ricostruire il mondo di domani.

Questa mattina, grazie ad uno scambio di battute con una Consigliera Comunale, ho percepito che, benché sia viva e genuina la volontà di indirizzare la macchina amministrativa della Città verso azioni di supporto delle attività produttive, il raggiungimento del bersaglio non sia cosa affatto semplice. Con la Consigliera Comunale abbiamo affrontato il problema delle attività turistico-ricettive, in particolare dell’imposta di soggiorno, e da queste vorrei iniziare per un ragionamento più ampio, correlato al bilancio della Città di Torino. Se, infatti, il tema dell’imposta di soggiorno ritengo sia irrilevante per gli operatori turistico ricettivi, infatti è palese che la chiusura dell’attività azzeri la riscossione dell’imposta, altre tasse e imposte comunali rappresentano, invece, un costo che le attività sono obbligate a sostenere anche se chiuse.

La Cosap, il canone di occupazione di suolo pubblico che molti hotel pagano per avere riservati i posti auto, la Tasi e la Tari, la tassa sui rifiuti, che essendo proporzionata alla dimensione della struttura rappresenta un importo non indifferente, la Cimp, il canone sulle insegne, e, per le attività che sono anche proprietarie dell’edificio, l’Imu, tutte queste rappresentano per una media attività turistico ricettiva un costo di decine di migliaia di euro l’anno che, seppure chiusi, dovranno pagare.

Il Comune di Torino, d’altro canto, fa conto di queste, ed altre, tasse, tariffe, canoni e imposte per finanziare il proprio bilancio. Notizia di oggi ci informa che circa 250 milioni di euro (quasi un quinto del bilancio del Comune che ammonta a 1,2 miliardi) sono a rischio, proprio perché legati a questi tributi. La Città di Torino ogni anno spende circa 200 milioni di euro (chiedo scusa se la cifra non è precisa ma si basa sui miei ricordi del Bilancio della Città) per il rimborso di rate di mutui e per interessi passivi.

Sarebbe, dunque, non solo opportuno ma necessario che, in uno dei tanti decreti governativi, venisse  inserito un articolo col quale obbligare qualunque soggetto abbia in corso mutui con gli Enti Territoriali ad allungare i piani di ammortamento e dunque la durata dei mutui di uno o più anni e di azzerare totalmente i rimborsi per l’anno in corso. Questo consentirebbe alla Città di poter rinunciare a riscuotere i tributi locali da tutte le attività produttive e di garantire anche alle famiglie più in difficoltà di non pagare i tributi per l’anno 2020.

Tale provvedimento sarebbe a costo zero, nessuna richiesta di finanziamento da parte delle casse pubbliche è, infatti, necessaria per allungare la durata di un mutuo, ma consentirebbe immediatamente agli enti territoriali di aiutare cittadini e imprese.

Su tale argomento ritengo, inoltre, che sia ormai non più procrastinabile una grande revisione del tema Tasi e Tari. In particolare la seconda dovrebbe essere una semplice partita di giro tra i cittadini e le imprese da un lato e la società che gestisce il servizio dall’altro, ma sappiamo bene che così non è. Ritengo che sia giunto il momento di ridiscutere anche il grande tabù della privativa industriale, almeno nel campo delle attività produttive, e, pur mantenendo la Tasi ovviamente su tutti i soggetti, si possa generare una positiva concorrenza sul tema della Tari.

Il Piano Periferie del Governo Renzi-Gentiloni ha ormai collaudato un sistema di finanziamento ai Comuni che, a mio giudizio, potrebbe diventare uno dei cardini della  fase 2. Molti sono, infatti, i progetti giacenti in fase preliminare, qualcuno in fase definitiva e pochi in fase esecutiva presso i Comuni.

A Torino possiamo ricordare, ad esempio, interventi consistenti quali il sottopasso di Piazza Baldissera, quello di Corso Unità d’Italia, quello di piazza Derna, la linea 2 della metropolitana, la tangenziale est, ma anche numerosi posteggi sotterranei o la costruzione o ristrutturazione di edifici pubblici, basti pensare alle scuole o alla sanità.

Quando sarà risolto il tema relativo alla tipologia di finanziamento che l’Italia vorrà utilizzare (MES, Eurobond, Prestito obbligazionario nazionale…) ritengo che gran parte di questi fondi debbano essere immediatamente destinati a quelle opere subito cantierabili, alla realizzazione dei progetti esecutivi di quelle ancora in fase embrionale e poi ovviamente alla loro realizzazione. Sappiamo bene, infatti, che l’edilizia ha un elevato moltiplicatore per l’economia e investendo cospicue quantità di denaro si otterrà a caduta un effetto positivo per tutti. Perché questo possa avvenire ci vuole però quantomeno una sospensione delle regole ordinarie sugli appalti, un sistema speciale, magari limitato temporalmente, che, pur garantendo la vigilanza in particolare sulle possibili infiltrazioni criminali negli appalti, sostenga rapidamente gli affidamenti e avvii i cantieri. Tale regime “speciale” ritengo che debba essere esteso anche agli investitori privati nel settore dell’edilizia, generando così sinergie con gli investimenti pubblici.

Gli imprenditori e ciascun cittadino non vogliono sussidi, i quali ovviamente sono fondamentali nel momento del bisogno, ma desiderano essere messi in grado di poter lavorare, produrre e creare ricchezza per se stessi, per i propri cari e per la comunità nella quale si vive. I Comuni non possono essere usati solo come dei pronto soccorso per gli interventi di emergenza, ma rappresentano il miglior strumento che la nostra Repubblica ha per gestire la fase 2. Mi auguro che a Roma si alzi forte la voce di tutti i Sindaci.

Paolo Giordana

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