Il 2013 ha fatto memoria di due avvenimenti determinanti nella storia ecclesiastica. Il primo, lontano di millesettecento anni, ma le cui stimmate la chiesa porta tuttora nella sua carne, è l’editto col quale Costantino le concedeva piena libertà di espressione. Il secondo, risalente a cinquant’ anni fa, è il Concilio Vaticano II, destinato, nelle speranze di quanti allora intensamente lo vissero, a guarire le piaghe causate dal primo. Celebrato come conquista della libertà religiosa, l’editto costantiniano di fatto avviò la trasformazione del movimento dei seguaci di Gesù in religione di Stato. La generosità di Costantino non era gratuita. Il fine cui mirava lo conseguì, con effetti negativi tutt’oggi perduranti.
Il 2013 è stato anche il cinquantenario della morte del papa che, eletto come fantoccio di transizione, al contrario incastonò nella storia un grande pontificato. Giovanni XXIII, la cui bontà e semplicità s’accorpavano ad un pronto acume, interruppe la catena di pontificati fastosi e remoti. La sua umanità raggiunse momenti alti e toccanti. Indimenticabili le parole alla folla che l’acclamava in piazza San Pietro la vigilia del concilio. «Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero. Qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera: osservatela in alto a guardare questo spettacolo. Tornando a casa troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza». O al Regina Coeli incontrando i carcerati: «Non potete venire da me così io vengo da voi. Eccomi qua. M’avete visto, io ho fissato i miei occhi nei vostri occhi, ho messo il cuor mio vicino al vostro cuore… La prima lettera che scriverete a casa deve portare la notizia che il papa è stato da voi e si impegna a pregare per i vostri familiari». E’ la tenerezza che consola, prima che Francesco la nominasse.
Poi fu il Concilio, più che da un progetto, un’ispirazione coraggiosamente seguita contro ogni opposizione. Giovanni sentiva il polso della chiesa affievolirsi in una società che le era estranea. Furono anni intensi di speranze e di esperienze, presto raggelate dall’incomprensione di chi lo seguì. Tre pontificati tra amletismo, trionfalismo e razionalismo silenziarono tutto. Ma, a stare all’oggi, senza successo. Il tempo spesso fa germinare semi dimenticati. Si dice che i concili fruttifichino dopo cinquant’anni. Forse sta avvenendo Il giorno prima del concilio papa Giovanni viaggiò ad Assisi per affidarlo al Francesco che già al suo tempo aveva tentato, vanamente, di rinnovare la chiesa. Oggi un Francesco che a quello si rifà, siede sul trono di Pietro. A disagio, perché un trono nella chiesa è fuori luogo. Il concilio aveva provato inutilmente a rimuoverlo.
Oggi il Francesco papa ci riprova riallacciandosi a Giovanni innanzitutto. Due modi di sentire e di vivere la fede molto simili, umili e semplici, attenti più al vangelo che all’armamentario dottrinale. Scrive Francesco nella Evangelii gaudium: «Esiste una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante. La realtà è superiore all’idea. L’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci che non coinvolgono». Certo la dottrina non è revocata, ma neppure insistita. Sono pastori che alla realtà costantemente si rifanno, partecipandone le sofferenze per offrire conforto, constatandone gli errori ma affidandoli alla misericordia divina, stimolando alla fiducia e alla tenerezza anziché prospettare un mondo costantemente ottenebrato dal peccato e sotto la minaccia dell’inflessibile giudizio di Dio.
Ci riprova rifacendosi poi al Concilio Vaticano. Una chiesa povera che ha i poveri come cittadini, non elementi occasionali per opere di carità. Una chiesa che, prima che luogo di verità e di riti, è fraternità di vita. Una scelta più esistenziale che dottrinale che esige un cambio di mentalità: «Avete sentito che fu detto… Ma io vi dico…». Su questa rotta vuole tornare Francesco. Già mossi i primi passi, accolti con entusiasmo dal popolo credente e con meraviglia e simpatia da chi, pur da fuori, è attento alle vicende ecclesiastiche.
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