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sabato, 27 Luglio 2024

Religiosità e superstizione: i santuari del ritorno alla vita

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Scritto da Gabriele Richetti
Immaginate questa scena. Siamo agli inizi dell’800 in una valle piemontese. È pieno inverno e sta nevicando. Un contadino e sua moglie, avvolti nei mantelli, arrancano nella neve alla luce tremolante di una torcia, affondando fino alle ginocchia, e tenendo in braccio un fagotto. All’interno, il loro ultimo figlio, nato e morto dopo pochi minuti, senza avere ricevuto il battesimo. Sono in marcia da qualche ora e si stanno dirigendo verso un santuario, una delle c.d. cappelle “del ritorno alla vita” o santuari à répit.

La posizione dei bambini e il limbo

Già Sant’Agostino nel De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum affermava categorico come fosse
“giusto dire che i bambini che muoiono senza il battesimo si troveranno nella condanna, benché mitissima a confronto di tutti gli altri. Molto inganna e s’inganna chi insegna che non saranno nella condanna”.
Fu la dottrina medievale a escogitare, anche per ovviare al problema che la condizione di tali bambini rappresentava, il limbo, un luogo ove le loro anime avrebbero dimorato in eterno, lontane sì da Dio e dalla sua luce, ma distanti altresì dai tormenti dell’Inferno. Un bimbo morto senza aver ricevuto il battesimo rimase comunque, nel mondo contadino, un evento nefasto e foriero di pessimi presagi. Le piccole anime, come se non bastasse il dolore provocato dalla perdita, sarebbero infatti tornate dai vivi sotto forma di folletti e spiritelli malvagi, con l’unico scopo di tormentarli.
La cultura popolare, perciò, cercò dei palliativi escatologici più umili e terreni: in una commistione di sacro e profano, creò il mito delle cappelle del ritorno alla vita o santuari à répit (dal francese antico, respiro), ove il corpo del piccolo poteva tornare in vita per i secondi necessari a ricevere il battesimo, per poi morire una seconda volta, immediatamente dopo averlo ricevuto.

Il rito della doppia morte

Il corpo del bimbo veniva trasportato dai parenti, con viaggi che duravano spesso anche diversi giorni, presso determinati luoghi sacri ove si credeva che il miracolo potesse avvenire.
Alla presenza di un prete compiacente, che celebrava la Messa, il corpicino veniva posto accanto ad un’icona sacra, spesso rappresentante la Madonna e, al momento dell’elevazione, con preghiere e mormorii si invocava il miracolo. Empiricamente, i genitori cercavano di percepire la contrazione di un muscolo, la fuoriuscita di sangue o muco dal naso; sovente si appoggiava una piuma sulle labbra del piccolo defunto, cercando di captarne ogni minimo movimento. Al verificarsi di uno di questi episodi, il sacerdote somministrava rapidamente il battesimo. A questo punto, il neonato moriva nuovamente, ma, in quanto battezzato, poteva essere sepolto in terra consacrata, spesso sotto i portici della cappella stessa o in qualche cimitero limitrofo.

La funzione purificatrice dell’acqua piovana

Come è comprensibile, poteva però accadere che nessuno dei presenti avvertisse il minimo segno di rinascita. Il battesimo a quel punto non poteva essere somministrato e ai genitori rimaneva un’ultima – ma consolatoria, per quanto possibile – soluzione. Quella di seppellire il corpo del figlioletto all’esterno del santuario, sotto uno degli scoli dell’acqua piovana: il battesimo non aveva potuto “lavare” l’anima del piccolo; ci avrebbe dunque pensato l’acqua piovana con l’intercessione della pietra e dei mattoni di cui era composta la cappella. Una sorta di acqua salvifica che alla lunga avrebbe accorciato la permanenza dell’anima del defunto nel limbo, regalandogli la vita eterna. Sempre che volpi e cani randagi non rendessero vano anche questo estremo tentativo di serenità.
 

I santuari visitabili nelle valli

Luoghi del genere furono estremamente comuni nelle vallate alpine, soprattutto in Piemonte, dalla zona del basso cuneese alla Val di Susa, alle pendici del Monte Rosa. Molti di questi santuari non esistono più, ma se ne perpetua il ricordo; altri sono ancora visibili, basti ricordare la cappella della Madonna della Neve a Ollasca, la chiesa della Madonna della Pace a Susa (oggi Santa Maria del Ponte), il Santuario della Madonna del Boden a Ornavasso.

Già ma, la Chiesa?

La Chiesa osteggiò fin da subito tali pratiche, che iniziarono, come detto, in epoca medievale, per continuare fino agli anni ’20 del Novecento. Tuttavia, ufficiosamente, le tollerò. Nel 1755, Papa Benedetto XIV accusò definitivamente i fedeli che praticavano tali riti di “abuso del sacramento del battesimo”. Nonostante il monito papale, queste pratiche non si interruppero e rappresentarono, per molto tempo, l’unica consolazione a disposizione della povera gente per lenire uno dei più grandi – e, purtroppo, frequenti – dolori di una vita già di per sé sofferente e pia.

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