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sabato, 27 Luglio 2024

Per gli armeni meglio con Baffone. Drammatico esodo in corso, mentre Baku vede nuove annessioni

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

Armenia e Azerbaijan, quando facevano parte dell’Unione Sovietica, hanno convissuto, certo non nella bambagia, ma ci fu pace e stabilità, senza conflitti, tra due comunità, una turcomanna musulmana e l’altra cristiana, da sempre in contrasto. Due realtà presenti da secoli in quell’area contesa.   In realtà  la mancanza di accordi e l intolleranza sono conseguenza di un atavico ed esasperatonazionalismo da entrambe le parti,che fa si che prevalga la prevaricazione e la guerra. Una disponibilità al dialogo  avrebbe potuto in questi anni trovare delle soluzioni sui discussi enclavi, evitando migliaia di morti e gli eccessi della radicalizzazione del contrasto. 

Oggi il tappo è esploso. Gli azeri cancellano l’enclave armeno cristiano. La gente stremata e terrorizzata scappa abbandonando una terra a cui era legata da secoli. Salvano la pelle, mentre trapelano terribili storie di sevizie e uccisioni di civili da una zona da cui è molto difficile avere notizie. 

L’appetito anche a Baku vien mangiando. Dopo la sanguinosa vittoria nel conflitto del 2020, questo nuovo successo azero, di fatto un blitz di poche ore che non ha trovato resistenza, (in un’enclave cristiano portato allo stremo da mesi di blocco dell’unico corridoio che lo legava all’Armenia), ha messo le ali all’espansionismo dell’etnocrazia turcomanna guidata da Ilham Aliyev.

 La pulizia etnica, con il dissolvimento dell’enclave armeno Nagorno Karabakh è cosa fatta e ora i leader azeri parlano esplicitamente di estendere le conquiste al fine di aprire il corridoio di Zagezur che collega con la repubblica autonoma del Nachchivan, annettendo parte dell’Armenia meridionale (Syunik). 

Un Armenia (2.700 mila abitanti) non in grado di sostenere un altro bagno di sangue dopo le ingenti perdite avute nei passati conflitti. Un paese che comunque si sentiva protetto dallo storico alleato russo, presente con importanti contingenti di caschi blu. Un’alleanza traballante dopo i recenti progressivi segnali lanciati di Erevan verso l’occidente.   

Si tratta di sviluppi che partono da una prova di forza che potrebbe sconvolgere e rimodellare delicati equilibri politici. Questo a seguito delle mire espansionistiche di un paese che sui diritti internazionali può soprassedere visto che tutti tacciono di fronte alle imponenti risorse, non solo di gas e petrolio del Mar Caspio ma anche preziosi minerali, che il paese re del caviale detiene.

In attesa delle imminenti trattative a Granada, sul fronte internazionale finalmente qualcosa tardivamente si muove, con la Francia che intende aprire una rappresentanza diplomatica proprio nella regione Syunik , a rischio invasione azera. La ministra degli esteri ha parlato di uno stanziamento di 7 milioni di euro per i profughi armeni.

Le dittature sono questo. Regimi repressivi, intolleranti, ultra accentrati e praticamente eterni, che, nella etnocrazia di Baku, vedono una successione dinastica che, da padre e in figlio, controlla con il pugno di ferro il paese da oltre quarant’anni.  

La triste verità è assistere al silenzio generale di fronte all’attivismo militare di regimi dispotici. Certo l’Armenia è un piccolo popolo, con un economia povera, ma dalle  grandi tradizioni. Quelli del monte Ararat della biblica arca di Noè, che domina su Erevan. Un paese in crisi ora abbandonato a se stesso in cui non si placano le proteste di piazza.  Come accadde cento anni fa per quel genocidio strisciante attuato e mai ammesso dai turchi.

Da notare il silenzio di tutti i complottisti e degli ultraconservatori cattolici (dio, patria e famiglia) che ignorano il sacrificio di questi fratelli cristiani, troppo presi a lanciare i quotidiani peggiori epiteti contro l’evangelico papa Francesco fautore di ponti e dialogo interconfessionale, con un efficacissimo approccio  fake che vede, con milioni di ciechi credenti,  le trame dei soliti cattivi (Soros, Bilderberg e oscuri poteri forti) dietro a ogni evento bellico, tellurico o mal di pancia.

Certo su questa guerra e questa tragedia di un piccolo popolo non si può riferire di complotti o fake perché il Nagorno Karabakh non c’è più e troppi hanno messo la testa nella sabbia. Poco si parla dei drammi dell’esodo  in corso, dopo aver ignorato gli appelli della comunità armena per quel blocco che li ha ridotti allo stremo in questi mesi.  La scarsissima attenzione dei media, del cosiddetto mainstream, vede le nobili eccezioni dei servizi del cattolico Avvenire e del Manifesto.  Tutto questo mentre non si placano le proteste a Erevan. Una realtà in cui il rischio destabilizzazione resta aperto.

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