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sabato, 27 Luglio 2024

“Non bull-arti di me”, intervista a Ilaria Zomer

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Ilaria Zomer è la responsabile di “Non bull-arti di me”, progetto, nato all’interno del Centro Studi Sereno Regis, a cui partecipano una ventina di persone sotto i 30 anni, che ha lo scopo di combattere l’ultima, più insidiosa, forma di violenza presente soprattutto tra i giovanissimi: il cyberbullismo. Nuovasocietà l’ha intervistata nel giorno del suicidio di Chiara, quattordicenne di Venaria che si è buttata dal balcone di casa sua, probabilmente perché non riusciva più a sopportare tutti gli insulti che riceveva sui social network, Ask in particolare.
Quando nasce il progetto e in che cosa consiste?
L’idea di “Non bull-arti di me” ha origine a maggio 2013. Siamo rimasti sconvolti quando è uscito il rapporto di Save the Children sul cyberbullismo e, visto che nel frattempo era uscito un bando dell’Unione Europea, abbiamo deciso di partecipare a abbiamo vinto. Da allora abbiamo girato 13 classi nelle scuole superiori (dalla seconda alla quinta), cerchiamo un dialogo sul tema e proponiamo laboratori, con l’intento di creare video o strutture interattive riguardanti l’argomento. Queste verranno presentate a settembre nelle scuole medie.
Quali sono i vostri intenti?
L’idea alla base è quella di educare i giovanissimi ad una maggiore consapevolezza, soprattutto per quanto riguarda l’uso dei social network. Si tratta di un tema delicato, dal momento che la cosiddetta generazione duemila si trova ad avere a che fare con facebook e affini, fin da quando sono in grado di avvicinarsi ad un computer, un cellulare o un tablet. L’approccio è precocissimo e spesso indiscriminato, perché genitori e insegnanti, facendo parte di un’altra generazione, la maggior parte delle volte non sono in grado di dare, in questo senso, un’educazione. Mancano i mezzi per farlo.
Voi, invece, avete tutti dai 18 ai 30 anni.
Noi siamo la generazione di mezzo: abituati ad usare i social, sì, ma in modo solitamente più consapevole, perché li abbiamo conosciuti dopo l’adolescenza. Per questo possiamo capire ed aiutare i ragazzi di oggi. Quello che proponiamo, d’altra parte, vuole anche un po’ essere un dialogo tra pari, senza paternalismi.
La ragazza suicida di Venaria pare fosse stata insultata pesantemente su Ask. Pensa che questo social possa essere più pericoloso degli altri?
Sì, senza alcun dubbio. Se altri social nascono con un intento nobile che poi può degenere, Ask, del tutto anonimo e con fini solo commerciali, è già in partenza uno strumento potenzialmente dannoso, veicolo di frasi spiacevoli, a volte insulti e, nei casi peggiori, violenze cibernetiche.
Quindi lei crede che possa essere fatto positivo dei social?
Credo di sì, e penso che i social in fondo siano in parte lo specchio della vita reale. Per questo si possono creare circoli virtuosi, di aiuto, oppure viziosi, di insulti e violenze. Ciò che è certo è che sono strumenti potenti, per forza di cose nelle mani dei giovanissimi e troppo per esserci lasciati senza alcun controllo.

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