Isis, Libia, Mediterraneo, guerra, Islam e interessi economici. Sono molte le emergenze che adesso richiedono una vera politica estera da parte del nostro paese, del nostro Governo, della nostra politica. Tutta compresa, come ovvio.
Conosciamo l’emergenza in cui siamo sommersi e l’intera opinione pubblica è nuovamente invasa da analisi, dissertazioni dotte dei soliti esperti televisivi e radiofonici, approfondimenti dei noti tuttologi che affollano i quotidiani e il Parlamento. Ma l’unico elemento che adesso richiede, seriamente, una risposta da mettere in campo è quella di avere una adeguata, responsabile e autentica politica estera del nostro paese. E questo non solo perché il potenziale conflitto bellico – sempre comunque, da scongiurare – investe direttamente il nostro paese ma anche perché, e soprattutto, l’Italia è il paese più esposto in questa drammatica fase storica. Esposto a livello geografico, a livello politico e a livello economico.
Certo, nessuno, credo, pretende più di avere alla Farnesina statisti come Andreotti, Emilio Colombo o altri esponenti che hanno segnato e caratterizzato con forza e autorevolezza la politica estera italiana. Ma è indubbio che, anche con l’attuale classe dirigente, adesso non possiamo più limitarci ai tweet, ai post o alle battute ad effetto. Ci vuole una linea politica che faccia dell’Italia non un semplice comprimario – come purtroppo sta emergendo in queste settimane – nello scacchiere europeo e mondiale ma che, al contrario, la trasformi in un attore decisivo per affrontare un conflitto che, se non adeguatamente affrontato e risolto, può esporre il nostro paese ad esiti a tutt’oggi imprevedibili ed imprevisti.
Del resto, la “questione libica” è già stata affrontata nel 2011 con una insopportabile e nociva superficialità. Un pressapochismo che ci ha trascinato in un conflitto – che noi non volevamo – e che ha portato all’Italia solo danni. Economici, politici e religiosi. Un conflitto che era indirizzato a ridare un assetto democratico alla Libia sconfiggendo per sempre “il dittatore” Gheddafi e che, invece, si è trasformato, come era ampiamente prevedibile, in un bagno di sangue e in una destabilizzazione cronica dell’intero territorio libico senza risolvere nessun problema. Anzi, aggravando e peggiorando tutti i problemi che si denunciavano alla vigilia.
Ecco perché adesso, senza retorica e senza alcun accento propagandistico, urge avere una politica estera. Se dovesse continuare a mancare questo protagonismo a livello europeo e mondiale, la “questione libica” rischierebbe questa volta di travolgerci in un vicolo cieco e di difficile soluzione.