Il ricordo della Liberazione celebrato venerdì a Torino come in molte città italiane, sembra infrangersi sulla sentenza della Cassazione che ha imposto il riconteggio delle condanne per i dirigenti della Tyessenkrupp.
Chissà cosa avrebbero pensato i giovani partigiani della vicenda che ha portato a una morte orribile sette operai, soggetti di una classe che allora tutti vedevano come potenzialmente rivoluzionaria.
E ancora quali considerazioni avrebbero fatto rispetto a una società “libera” e “democratica” che umilia le persone e le ricatta attraverso il lavoro.
E’ proprio questa distanza tra gli ideali della Resistenza e la storia che il Paese ha avuto dal 1948 in avanti a fare riflettere sul senso del 25 aprile, ormai relegato per la maggioranza degli italiani a poco più di una festa patronale.
Se nelle piazze, a dire il vero mai piene, si sente ancora il filo rosso che lega i giovani delle montagne alle lotte attuali per la casa, il reddito e l’ambiente, sembra che al di fuori di esse sia cresciuta una generazione che nulla ha ricordato e imparato da quella esperienza.
E così il giorno dopo Torino riapre la ferita mai cicatrizzata dei morti sul lavoro e rilancia l’immaggine di una società classista nella quale alla fine, i potenti salvano sempre altri potenti.
Ma a guardar bene, i visi di Giuseppe Demasi, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Rocco Marzo, Angelo Laurino e Roberto Scola, non sono poi così diversi da quelli di Dante di Nanni o dei giovani delle brigate partigiane.
Una volta si sarebbe detto che erano tutti figli del popolo, lavoratori e operai, e in questa considerazione sarebbe stato implicita la speranza di un mondo migliore e la solidarietà di classe.
Parole che oggi risuonano come vecchie e stantie, ma che contengono il segreto del cambiamento o almeno della dignità delle persone.
Ma Torino forse non ha smarrito completamente questa memoria e speriamo trovi la forza per reagire all’ennesima umiliazione, questa volta perpretata dalla magistratura, che si scaglia contro giovani vite proletarie.
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