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sabato, 27 Luglio 2024

Lavorare meno, utopia necessaria

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

La proposta di legge dei consiglieri regionali Leu, condivisa anche da alcuni Dem, per ridurre l’orario di lavoro e favorire nuove assunzioni ha suscitato qualche polemica di troppo. In sintesi, e al di là dei tecnicismi, si prevede la possibilità di lavorare fino a un’ora e mezza al giorno in meno, a parità di salario. Paga la Regione. In cambio l’azienda si impegna ad assumere una persona ogni quattro dipendenti che tagliano l’orario. La legge naturalmente deve fare i conti con le risorse disponibili, 8 milioni, e quindi avrà una platea non superiore a 1600 lavoratori a tempo ridotto con la prospettiva di assumerne 400.
Bene, si provi. La legge avrà comunque un impatto inferiore a quello di una delle tante crisi industriali che si sono succedute in Piemonte negli ultimi anni. Anche se l’esperienza insegna che i sostegni pubblici alle aziende per l’occupazione valgono finchè durano. Poi, finiti i soldi, si torna purtroppo al punto di partenza o giù di lì. Ma è eccessivo lo sbarramento degli imprenditori, così come quello del sindacalista Fim-Cisl Claudio Chiarle, che butta alle ortiche la tradizione della sua organizzazione, la Cisl che fece suo lo slogan lavorare meno lavorare tutti, e che coerentemente sostiene la proposta Leu.
Dicono gli imprenditori che per creare lavoro vero servono gli investimenti. Vero. E quindi aggiungono implicitamente, sarebbe meglio dirottare i soldi pubblici sul capitolo degli investimenti. Se l’ispiratore del testo Marco Grimaldi pensasse di risolvere i problemi dell’occupazione con questa legge sarebbe un fesso. Non lo è, ma questa proposta, che arriva mentre il vicepremier Luigi Di Maio sta pensando di far chiudere la maggioranza dei supermercati alla domenica, ha la possibilità, se fosse colta, di far discutere su un tema più ampio, che è la funzione del lavoro. E il lavoro, e la sua qualità – voglio essere più esplicito: ancora più del reddito qualora sia almeno stato raggiunto un livello dignitoso – sono la misura dell’integrazione e, aggiungerebbe il Primo Levi autore della “Chiave a Stella”, della felicità di una persona.
La società crescerà nei prossimi decenni – come ammette anche il presidente della Regione Sergio Chiamparino – a ritmi sensibilmente inferiori rispetto a quelli che hanno creato il boom economico e le grandi opportunità di lavoro. La tecnologia brucia più addetti di quanti ne crea persino dove non si immaginerebbe, perché per fare le cose, persino per imbiancare una parete, persino per assistere un anziano o un malato, serviranno sempre più macchine e meno persone. In questo contesto, costruire un’idea di lavoro un po’ più profonda del mero scambio tra prestazione e retribuzione – in un Paese come l’Italia dove il mercato non è mai diventato adulto – potrebbe aiutare a creare una società più coesa.

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