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mercoledì, 23 Ottobre 2024

La mascherina non dev’essere un bavaglio

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Siamo alla vigilia di un Primo Maggio, che entrerà nella storia. Drammaticamente visto l’emergenza Coronavirus. Per la prima volta le piazze saranno vuote e si celebrerà la festa dei Lavoratori in maniera virtuale.

Sindacati, associazioni e partiti si preparano all’appuntamento organizzando sui social dirette fiume. Quello che mancherà, temiamo, sarà la voce di chi in fondo ha sempre avuto ben poco da festeggiare, visto che un lavoro non ce l’ha. Anzi. Quella voce rischia di diventare un coro.

Il Coronavirus non sta facendo vittime soltanto dentro gli ospedali, ma soprattutto fuori dalle strutture sanitarie.

Vittime di un precariato che giorno dopo giorno infetta soggetti e categorie fino a due mesi fa sani. Come dare torto al lavoratore autonomo che come risposta alle sue paure si è ritrovato questo mese come unico versamento sul conto i pochi (perché sono pochi) 600 euro del Governo Conte?

Che dire dei commercianti, dei ristoratori, dei bar e di tutti quelli che hanno subito le (in)decisioni di Roma?

Sappiamo che non era affatto facile gestire la situazione, accontentando tutti. Ma questo non può essere un alibi in eterno. Come in eterno non si può ripetere, a reti unificate, che dobbiamo fare dei sacrifici.

Gli italiani i sacrifici li stanno facendo, oltre l’immaginazione. Però bisogna dare delle risposte: perché la gente non ha soldi per pagare affitti, fornitori e mutui. Non ha soldi per magiare.

Perché non tutti hanno la fortuna di poter lavorare da casa e vedersi arrivare lo stipendio integro. Perché la cassa integrazione non arriva, perché chi era costretto a lavorare in nero per campare ora non ha neppure quello.

Perché chi ha abbassato la saracinesca per l’emergenza Coronavirus ora potrebbe non alzarla più. Chiudendo definitivamente. Perché anche se a qualcuno piace così tanto dirlo, non siamo sulla stessa barca.

La festa dei Lavoratori purtroppo da troppo tempo è solo una celebrazione e un momento per sfilare pomposamente in piazza, per poi tornare lontano dalle strade, dai quartieri, dai posti di lavoro negli altri 364 giorni.

Ecco: forse domani non scendere in piazza potrebbe essere utile per riflettere. Soprattutto sul fatto che una mascherina non dev’essere un bavaglio.

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