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sabato, 27 Luglio 2024

La battaglia di Claudia malata di Rett contro i tagli alla Sanità

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

«Mia figlia muore e nessuno si vuole prendere la responsabilità di curarla».
Questo è il grido di dolore di una madre che chiede aiuto, ma non solo per sua figlia gravemente malata. Lei è Marina Cometto, di Torino, presidente dell’Associazione “Claudia Bottigelli”, la Onlus che prende nome da sua figlia, colpita dalla sindrome di Rett e da anni bloccata su una sedia a rotelle. Da sempre impegnata nella difesa dei diritti dei disabili e alle loro famiglie.
Claudia oggi ha 40 anni. Per il padre, la madre e la sorella è stata un dono grande, ma per i medici e per il gergo freddo degli ospedali, è una “malata complessa”.
Non cammina e non parla, quindi, non può spiegare quale sintomi prova quando sta male. Infatti, la sindrome di Rett è una patologia progressiva dello sviluppo neurologico che di solito colpisce le bambine proprio come è accaduto a Claudia che ne è vittima dalla tenera età.
Mentre gli altri bambini incominciavano a muovere i primi passi e a pronunciare le prime parole, lei perdeva quelle stesse facoltà. E da allora il suo corpo ha smesso di funzionare come dovrebbe.
Oggi le condizioni di Claudia sono peggiorate perché dai primi giorni di settembre ha smesso di mangiare rifiutando cibo e acqua.
«Claudia è da metà settembre che sta male lei che beveva 10 vasetti acqua gel al giorno, che mangiava pranzo e cena abbondanti e volentieri, che nel pomeriggio beveva il frullato di frutta volentieri, ha iniziato a rifiutare il cibo, poi l’acqua, fino a non alimentarsi più per niente» spiega Marina Cometto.
Comincia così il giro negli ospedali e nel primo, per tre giorni Claudia viene alimentata tramite un catetere venoso centrale e dopo dodici viene dimessa con una diagnosi: feci ferme, ovvero una forma di occlusione intestinale, «smentita poi dalla relazione di dimissioni che evidenzia altre cose che non sono mai state espresse a voce» evidenzia Marina.
La verità secondo lei, è che i medici non riescono a capire cosa sia accaduto a Claudia: «Mia figlia muore lentamente e nessuno si vuole prendere la responsabilità di farle esami invasivi per sapere cos’ha». «Ci è sembrato un comportamento per liberarsi di un paziente scomodo» dice indignata.
«I medici avrebbero dovuto sottoporla a colonscopia e gastroscopia, ma questo tipo di esami sono troppo invasivi per lei, perché andrebbero eseguiti in sedazione ma nessun medico se l’è sentita di procedere».
Dopo le dimissioni Claudia torna a casa, ci sono dei miglioramenti. Uno su tutti: riprende e mangiare.
Nel frattempo sua madre si rivolge ad un altro ospedale che possa eseguire in regime di ricovero tutti gli esami necessari per una diagnosi certa. E Marina, arriva così in un secondo nosocomio dove anni prima Claudia è stata operata con «ottimi risultati e curata brillantemente», come racconta Marina. Ma qualcosa da allora è cambiato e anche in questa struttura le viene detto che i pazienti complessi non possono essere più accettati. L’unico consiglio che riescono a darle è di rivolgersi alle Molinette o al Giovanni Bosco, le uniche strutture in grado di offrire «percorsi adeguati e non diagnosi frettolose e approssimative, con le quali i pazienti vengono dimessi subito dopo la fase acuta»
Già, perché pazienti come Claudia vengono, come dicevamo all’inizio, definiti complessi, ma di complesso non c’è nulla: i percorsi e le prassi ospedaliere sono più lunghe e delicate, ma alla base del problema c’è ben altro. Le strutture attrezzate per accogliere questi malati sono poche perché non ci sono soldi.
Adesso Claudia è di nuovo in ospedale, ricoverata alle Molinette, e le sue condizioni sono ancora gravi. «Abbiamo perso del tempo prezioso – racconta Marina – Chiedo che la Sanità piemontese si prenda le responsabilità dovute e diagnostichi e curi Claudia adeguatamente. Non voglio risarcimenti quando mia figlia sarà morta, ma salvarle la vita» conclude.
La speranza è che l’appello di di questa madre arrivi a tutti. Soprattutto ai piani alti della politica, agli amministratori e che di fronte al prossimo taglio al bilancio possano ricordarsi dell’importanza di queste parole.
Continuare a tagliare sulla Sanità è come dare un taglio alle vite di malati come Claudia, più fragili degli altri, destinati a soffrire e a non poter esprimere il loro dolore e per questo, spesso considerati pazienti di serie B.
 
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