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sabato, 27 Luglio 2024

Kobane, la battaglia delle donne

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Dal 16 settembre la città siriana di Ain al Arab (in curdo Kobane) è soggetta ad efferati attacchi via terra per mano degli estremisti dell’ISIS, pronti a conquistare la zona per la sua importante posizione al confine con la Turchia. La città, appartenente al Kurdistan siriano, ha visto la mobilitazione di uomini ma, soprattutto, di donne, divenute il simbolo di questa guerra contro i mercenari dello Stato islamico.
Già nell’agosto scorso le curde irachene si erano arruolate nell’Armata curda dei Peshmerga. A Kobane è invece attivo l’YPG (Unità di protezione popolare) che già nell’aprile 2013 contava un 20 % di donne in lotta a fianco del FSA. I destroidi nostrani si sorprenderebbero nel sentire che il capo della divisione dell’YPG che guida la guerra contro l’ISIS è una donna, la quarantenne Mayssa Abdo, conosciuta in guerra come Narin Afrin.
I soldati dicono di lei che «è una donna colta, intelligente e impassibile. Si preoccupa di noi, del nostro stato mentale e dei nostri problemi». Più che un comandante una madre di famiglia allargata, una di quelle austere, che non piangono mai di fronte ai figli, capaci, più che con le parole con i silenzi, di dare certezze. Ma nella lotta a Kobane le donne non danno solamente gli ordini, li eseguono anche, con tanto di kalashnikovs e fucili in spalle.
La loro età spazia dai quattordici ai quaranta anni. Sono per lo più ragazze giovani a fare la guerra, spinte dalla convinzione di questa età, dal coraggio di un ideale universalmente forte quale quello della libertà e dalla non paura della morte, condizione spirituale data probabilmente dalla fede. Un esempio per quest’ultima motivazione è la diciannovenne Ceylan Ozalp, conosciuta nell’armata con il nome di Diren (“resistenza” in turco), che i primi di ottobre, rimasta sprovvista di munizioni si è fatta esplodere, provocando la morte di sette uomini e tre donne dell’ISIS. Nel settembre scorso aveva rilasciato alla BBC queste parole: “Noi non abbiamo paura di niente… lotteremo sino alla fine. Noi ci faremmo saltare in aria piuttosto che essere catturati dall’ISIS”. Macabramente profetica ma lodevolmente coerente, ecco perché il bel viso di Diren è per eccellenza l’emblema di questa lotta al femminile.

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