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martedì, 21 Maggio 2024

Iran. Dove può arrivare la rivoluzione contro le teocrazie? 

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

L’ultima notizia da Teheran riporta che si stanno moltiplicando le condanne a morte, (si è arrivati a quota sei), per quelli che la magistratura persiana definisce “fomentatori di disordini”. Questo mentre le Ong denunciano come siano ben 516 i morti uccisi nel corso delle proteste oggetto della repressione delle forze di sicurezza iraniane, di cui 70 nell’ultima settimana.  Notizie che la dicono lunga sulla forza e la determinazione di gran parte di un popolo, e su cosa rischiano quella miriade di donne e giovani che scendono in piazza lottando ogni giorno contro quel regime degli ayatollah che da sempre le reprime.

Un rischio che ora tocca anche i giocatori della nazionale di calcio che, in mondovisione, non hanno cantato l’inno iraniano. Un gesto simbolico che ha manifestato pubblicamente, alla vastità del pubblico dei mondiali, il livello di insofferenza espresso da una lotta che è diventata oltre che sociale anche politica. Una protesta che ha incendiato un intero Paese contro un regime oscurantista insopportabile per milioni di di persone che vogliono semplicemente vivere in libertà, come avviene a Roma, Londra e Parigi. 

Un desiderio espresso da diversi manifestanti che non sembrano avere un preciso referente politico se non quello di mettere fine alla dittatura teocratica per vivere in pace e liberi come in Europa.   

La rabbia del popolo, erede di Dario e Serse, è esplosa dopo che il 16 settembre è morta Masha Amina. La ragazza, martire e simbolo di questa lotta, che, non ancora ventiduenne, è stata arrestata dalla polizia morale per un hijab mal indossato, che poi non ha retto, si ritiene, ai colpi alla testa ricevuti dai suoi carcerieri. 

La rivolta, che perdura e cresce ormai da mesi,

 sta evidenziando una spaccatura sempre più forte nella società iraniana. Non a caso la protesta in mondovisione dei giocatori della nazionale è stata anche fischiata. Questo mentre i cameramen hanno ripreso quei cartelli sugli spalti, miracolosamente sfuggiti alla censura, che riportavano le parole d’ordine della protesta di quelle donne che rifiutano il velo e chiedono libertà: Woman, Life, Freedom. Cartelli affiancati da quella bandiera persiana vietata che ricordava quella breve parentesi democratica rappresentata dell’Iran di Mossadeq (il cui governo nel 1951 fu fatto saltare per riportare lo scià, bloccando la nazionalizzazione del petrolio). Per il potere iraniano quella del velo costituisce  come un baluardo-icona su cui si regge un intero sistema. Un sistema tradizionale e illiberale che i giovani, partendo da milioni di giovani donne, rifiutano essendo in pieno contatto, via internet e non solo, con quanto avviene nel mondo globalizzato.

Tornando ai mondiali ha certamente deluso la mancata protesta dei giocatori inglesi nel non  portare al braccio la fascia con l’arcobaleno LGBT, in un paese in cui gli omosessuali vengono spesso pubblicamente impiccati. Una protesta per la quale avrebbero solo rischiato una possibile ammonizione dalla FIFA. 

Il fatto rivoluzionario è che la rivolta, che deve fare i conti con una feroce repressione, e con le restrizioni su Internet per bloccare ogni sorta di comunicazione, si sia estesa in ogni città di questo grande paese, arrivando pure ad incendiare la casa di Khomeini. Una protesta di popolo, dai contorni evidentemente anche fortemente laici, che pare ormai inarrestabile,  che è arrivata molto lontano da Teheran e le sue università in cui si è sempre respirato un’aria occidentale. 

Non si può fermare un popolo, ma intanto la repressione violenta si sta scatenando anche nel nord curdo, con veri e  scontri armati che hanno causato diversi morti anche tra i militari iraniani. Una tragedia nella tragedia che vede i curdi, oltre ad essere bombardati dai turchi, ritornati nel mirino dei militari di Teheran. Secondo l’ong Hengaw (Hengaw Organization for Human Rights) in questo ennesimo conflitto sarebbero morte 42 persone uccise da armi da fuoco. 

La moderna e ferma protesta iraniana pare assumere sempre più i caratteri di una guerra civile. Uno scontro che ha pochi margini di mediazione tra chi vuole un Iran laico e libero e quella maggioranza ultraconservatrice  islamica del parlamento che si riconosce nella guida suprema religiosa di Ali Khamenei (83 anni). 

Una protesta che non accenna a perdere tensione e che si manifesta sempre più determinata nonostante tutte le reazione di un regime che arriva anche alla condanna a morte degli oppositori alle barbe del  regime teocratico. 

Tornando ai mondiali, il prossimo incontro vedrà la nazionale iraniana affrontare gli Stati Uniti. 

Intanto la lotta del popola iraniano continua. Una rabbia giovanile sempre più popolare che potrebbe rappresentare un pericoloso precedente per diversi regimi teocratici, e non solo, messi di fronte a una protesta che va molto oltre il livello raggiunto da quelle primavere arabe che, nel 2011, avevano illuso l’occidente per possibili svolte mai realizzate.

 Tutto questo non può ovviamente non tenere conto del peso geopolitico che comporterebbero gli auspicabili e possibili stravolgimenti in un paese che, oltre al petrolio, vanta un arsenale nucleare sempre oggetto di costanti polemiche. 

Una protesta animata dal coraggio e dalla volontà di tanti giovani e giovanissimi che stanno pagando un prezzo pesantissimo per essere finalmente liberi. Una protesta la cui chiave di svolta potrebbe trovarsi, oltre nella sua diffusione capillare sul territorio,  nell’appoggio o nella mediazione di quella parte della popolazione e dei rappresentanti politici moderati, arrivando fino a conquistare simpatie tra i quadri  del vasto esercito regolare a tutti i livelli. 

Un passo certo non semplice ma per ora l’unica realtà è la forza di questa protesta estremamente laica e moderna. Il pugno di ferro e le bastonate della polizia morale , fino alle condanne a morte  sono sempre più espressione di debolezza di un regime che non ha margini di dialogo ma solo azioni repressive che stanno radicalizzando e compattando l’opposizione. Quali potrebbero essere gli sviluppi politici e sociali di questo scontro che potrebbe sfociare in un ulteriore e drammatico bagno di sangue in un paese in cui lo spirito di sacrificio e martirio è quanto mai parte della cultura scita? Al momento è quanto mai difficile dare una risposta.  Non è semplice scalzare da un giorno all’altro un regime forte e radicato come quello degli ayatollah che, in ogni caso, non ha solo il volto dell’anziano e ultrconservatore Ali Khamhenei e che potrebbe far emergere altre componenti più aperte. Certo il livello di scontro e la volontà laica e libertaria del movimento non sembra avere  molti margini di mediazione  con un regime chiuso e oscurantista.

In questo quadro è anche difficile ipotizzare un ipotetico e interessato riavvicinamento tra Usa e Iran che, oltre a distendere le tensioni legate al potenziale nucleare di Teheran, potrebbe 

 essere visto in chiave di ridimensionamento di quelle influenze in particolare russe, 

 (e anche cinesi) nel mondo scita. Un’ipotesi quanto mai in linea con le volontà americane verso il conflitto in Ucraina e con l’obiettivo di isolare ulteriormente l’orso moscovita guidato da Putin.

 I giovani iraniani fanno meno figli e si sposano più tardi. Per gli Ayatollah tutta colpa di un complotto occidentale.  

Concludiamo con una nota anagrafica su questo paese di 84 milioni di abitanti. Un paese giovane, (il 73% ha meno di 45 anni), in cui però l’età media è salita in pochi anni da 27 (2006) agli attuali stimati 31 anni. In Iran si fanno sempre meno figli e sono in calo anche i matrimoni sia per numero che per l’età sempre più avanzata degli sposi. Una tendenza che preoccupa molto gli ayatollah che puntano il dito verso quei giovanissimi, molto connessi a internet, ammaliati dagli immorali modelli occidentali.   

 L’Iran ha una età media quanto mai giovane vicina ai 31 anni. Un dato che è continuato a salire proprio  in questi ultimi anni (era 27 anni nei riscontri  del censimento  2006). Per gli ultraconservatori religiosi del regime (che detengono la maggioranza in parlamento piegato ai dettami della guida suprema Ali Khamanei) questa drammatica, a lor dire, tendenza è ovviamente colpa di americani e israeliani fautori di un complotto per far diminuire la presenza scita nel mondo. In realtà i ritardi della crescita economica (tra recessione, inflazione e disoccupazione) e una distribuzione del reddito certo non entusiasmante, con redditi medi quanto mai bassi, non spingono certo le nuove generazioni a metter su famiglia e fare figli in un paese in cui anche in cui il Covid ha fatto la sua parte mietendo molte vittime.      

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