Giusi Greta Di Cristina, 40 anni, insegnante precaria, esperta di fondi europei, si occupa di politica estera ed è responsabile Esteri della Federazione Regionale del Partito Comunista del Piemonte.
Cosa l’ha convinta ad accettare la candidatura a sindaco?
Ho accettato la candidatura a sindaco perché proposta dall’intero gruppo dirigente regionale del Partito. La mia è una candidatura politica: sono iscritta al Partito, sono un dirigente regionale e nazionale. Il Partito ha ritenuto che potessi rappresentare gli elementi di sintesi per essere il miglior candidato possibile. Per me è stata una grande emozione e un grande onore accettare.
Quali sono le difficoltà che vede in questa città?
Vedo una Torino che, giorno dopo giorno, diventa sempre più povera. L’incapacità delle classi dirigenti locali – non solo di quest’ultima – nel prendere decisioni in sintonia con la struttura socio-economica della città ha fatto sì che Torino si trova a fronteggiare una crisi devastante senza gli anticorpi per poterla superare senza troppe ferite. Le file alla Caritas sempre più lunghe, i lavoratori licenziati dall’oggi al domani e lasciati senza un minimo di protezione, le delocalizzazioni che hanno sfruttato questa città e i suoi operai, la globalizzazione che sta uccidendo l’economia dei quartieri e della manifattura locale: a tutto questo ha contribuito la cecità di chi ha governato che, di fatto, ha reso Torino più debole e soggetto, più che oggetto, delle politiche economiche.
Cosa propone per la macchina comunale?
Il Comune è il centro nevralgico dal quale partono le decisioni e l’irradiamento della governance locale. Smettiamola di ripetere, come sento spesso fare, che i funzionari e i dipendenti del Comune di Torino sono degli incapaci e che non lavorano. Al contrario, i funzionari e i dipendenti del Comune di Torino hanno dimostrato ampiamente di saper tirare avanti la baracca anche dinnanzi all’assenza di indicazioni politiche precise, sostituite da beghe di palazzo. Per quel che concerne la Città Metropolitana lo vogliamo dire chiaramente: essa deve essere guidata da un Presidente che lo sia davvero, da un punto di vista politico, che sappia dare ampia prova di capacità decisionale. La sindaca uscente ha completamente dimenticato questo aspetto. Vi è la necessità della costruzione di scelte politiche nell’approccio a tutte le Aree, poiché è paradossale una tale diversità tra un’area e un’altra, per cui alcune vengono lasciate in balia di sapere persino di chi è che si occupa della messa in sicurezza dei territori. Ribadiamo dunque che, in un tempo in cui la politica ha ceduto il passo ai cosiddetti competenti e tecnici, che le scelte amministrative, per il Comune e per la Città Metropolitana, per la scelte a breve termine così come come per quelle a lungo termine, devono sempre partire da decisioni politiche e che la Politica non può e non deve in alcun modo cedere il passo a scelte di comodo, che si celano dietro la preferenza ai tecnici.
Torino ha bisogno di riforme che siano al contempo serie e funzionali, non approssimative e raffazzonate. In particolare mi riferisco alla riforma delle circoscrizioni del 2016, che ha di fatto accorpato le circoscrizioni senza però risolvere nella pratica le problematiche delle stesse, anzi. È una riforma incompiuta poiché non ha dotato le circoscrizioni di quella autonomia che le renda attori attivi nel processo decisionale del territorio. Ad oggi le circoscrizioni sono vincolate dalle risorse che annualmente il Comune assegna e che ogni anno sono sempre più ridotte. Dunque o si fa una riforma seria o decidiamo espressamente che la situazione sia questa con tutti i disastri che ne possano provenire, a partire dal tema della manutenzione del territorio, passando per le politiche sociali che non possono non essere calate nello specifico del quartiere e rispondere ai bisogni e alle necessità di quel quartiere, fino ad arrivare alla costruzione di spazi a misura degli abitanti del quartiere stesso. Torino è una città che negli ultimi anni ha visto svilupparsi una sorta di fortezza delle élite, sempre più piccola e sempre più d’elite, contro il resto della città che si sta trasformando in una periferia dimenticata. E si badi bene non parliamo di quartieri che hanno già bisogno di un intervento e che sono stati criminalmente lasciati a se stessi, come Barriera. Parlo di San Salvario o di Aurora, a due passi dal centro, eppure un altro mondo rispetto ad esso. Queste dimenticanze gridano vendetta: tutti gli abitanti di Torino meritano di vivere nella sicurezza, in un strutture decenti, di poter mandare i propri figli in scuole funzionanti e di qualità, di curarsi in strutture accoglienti e potersi godere gli spazi del quartiere in tranquillità.
Quali sono le prime tre cose che farebbe da sindaco?
La prima cosa che farei riguarderebbe di certo l’inclusione sociale, la lotta alla povertà e all’emarginazione. Incontrerei le parti sociali e stabilirei con loro un nuovo patto sociale a partire dalle opportunità che il Comune può mettere in campo (formazione di alta qualità e continua, istruzione, cultura alla cittadinanza, spesa sociale). Mi assicurerei che la parte più cospicua destinata dal Fondo per lo Sviluppo fosse effettivamente destinata a questo.
Come seconda cosa convocherei la famiglia Elkann e chiedere quando finalmente rivedremo investimenti sul territorio e la fine delle delocalizzazioni, piaga per tutta Italia e in particolare per Torino.
Come terza cosa scriverei al sindaco di Milano per riferire che Torino non sarà più in un rapporto di sudditanza con Milano: sì alla collaborazione ma mai più operazioni sconvenienti per la nostra città.