di Giulia Zanotti
Venti milioni e cinquecentomila euro. Si gioca attorno a questa cifra la partita su Gtt, dopo che ieri sono stati notificati nove avvisi di garanzia per falso in bilancio relativo all’esercizio 2015 all’ad Walter Ceresa e ad altri otto dirigenti (i componenti del Cda Gianmarco Montanari ed Elisabetta Bove, dimissionaria nel 2016, il presidente del revisore dei Conti Piero De Lorenzi, il direttore delle Finanze Claudio Conforti, il direttore legale Gabriele Bonfanti e i tre membri del collegio sindacale Gino Marzari, Mariangela Brunero e Stefano Rigon).
Secondo il pubblico ministero Ciro Santoriello, titolare dell’inchiesta, il bilancio 2015 del Gruppo Torinese Trasporti si sarebbe dovuto chiudere con un passivo di quasi nove milioni di euro. Ma «al fine di conseguire un ingiusto profitto costituito dal fornire una rappresentazione soddisfacente delle condizioni economiche della società» i vertici dell’azienda avrebbero inserito crediti che vantavano nei confronti del socio unico Comune di Torino con tanto di interessi a tassi maggiorati riuscendo così a raggiungere un equilibrio di bilancio e a dichiarare un attivo di 228 mila euro. E permettere, secondo gli investigatori, anche di distribuire compensi extra, come i 118 mila euro versati a Ceresa, condizione che poteva verificarsi solo se l’anno si fosse chiuso con un segno positivo.
Ma attenzione. Ciò che viene contestato agli indagati non sono i crediti vantati nei confronti del Comune, bensì il calcolo degli interessi. E proprio su questo punto si costruisce anche la linea difensiva di Gtt.
I venti milioni inseriti nei documenti contabili sarebbero stati per i vertici di corso Turati “liquidi ed esigibili”, mentre per la Procura non sono stati comunicati «ai debitori ed era quindi incerto se la spettanza sarebbe stata riconosciuta».
A complicare il tutto gli aggiornamenti della legge 231 relativa ai ritardi dei pagamenti: la normativa entrata in vigore nel 2014 infatti consente di equiparare i tassi di interessi moratori nei confronti di enti pubblici a quelli nei confronti dei privati, mediamente del 2,2 per cento. E accumulandosi negli anni il debito del Comune Gtt inseriva nei suoi bilancio la cifra dovuta e gli interessi di mora aggiornati ogni volta. Nulla di sbagliato in questa prassi che fu accertata anche dalle ispezioni del Ministero delle Finanze in corso Turati. Secondo la Procura l’errore da cui si genererebbe il reato è quello di aver considerato i 20 milioni come “liquidi” senza interpellare prima il creditore, come previsto dalla normativa, che ha appunto rispedito al mittente le fatture maggiorate non riconoscendole come parte degli accordi.