di Giuseppe La Ganga
I grandi partiti popolari, di cui il PD è in qualche modo erede, funzionavano come “ascensori sociali”. Pietro Nenni usava dire, col suo linguaggio ottocentesco, che il Partito Socialista portava “i lavoratori alla direzione dello Stato”. La Dc formava i suoi quadri all’interno delle organizzazioni cattoliche, il PCI li mandava a scuola, in Italia, a Mosca e persino a Praga. I socialisti, senza chiese, si arrangiavano: un cursus honorum severo, una competizione interna molto selettiva. Quando si allentarono i freni, il PSI conobbe per primo il fenomeno dell’inadeguatezza dei propri quadri rispetto alle responsabilità e al potere, con effetti nel tempo disastrosi.
Il moltiplicarsi di tante vicende, più o meno gravi, eticamente più o meno discutibili, che coinvolgono esponenti del PD, mi ha ricordato tempi ormai lontani, ma che hanno influenzato negativamente il corso della democrazia italiana.
L’ascensore sociale del PD, partito quasi monopolista del potere amministrativo, può e deve funzionare meglio di così. Un po’ di formazione in più, percorsi politici con crescita graduale, rispetto delle regole di vita interna (Incompatibilità, cumulo di incarichi, et cetera), sono l’unico antidoto alle degenerazioni. A cui seguono sdegno e “sanzioni esemplari”, …fino alla volta successiva.
Nella foga di distruggere i partiti invasivi e clientelari di un tempo, ci siamo privati anche degli strumenti, che restano indispensabili, di selezione e formazione della classe dirigente. Se non lo faremo, la politica perderà sempre più autorevolezza.
E anziché realizzare il progetto di Nenni, daremo vita a tante riedizioni della scena memorabile della pastasciutta in tavola, in Miseria e nobiltà dell’immortale Totò.