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mercoledì, 23 Ottobre 2024

Il meglio è nemico del bene. Ma qual è il meglio?

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di Giusi La Ganga

Questa vicenda del referendum costituzionale la sto vivendo con molto fastidio e qualche imbarazzo. Naturalmente non è un fatto privato e quindi vorrei provare a spiegarlo a chi ha qualche interesse al ragionamento e non al dispiegamento delle opposte tifoserie.

La premessa è che, a differenza di molti convertiti, specialmente a sinistra, da trent’anni penso sia necessaria una revisione della seconda parte della Costituzione, pur nel fermo rispetto dei principi fissati nella prima parte. Penso che sarebbe stata necessaria una modifica della forma di governo (personalmente sono per un modello tipo Cancellierato tedesco, che garantisce stabilità anche senza l’elezione diretta del Presidente) accompagnata da norme per rafforzare le funzioni di rappresentanza e di controllo del Parlamento, con due Camere elette dai cittadini, una titolare dell’indirizzo politico l’altra della rappresentanza dei territori.

Ciò che mi disturba della proposta oggi in discussione è che nulla si innova nel miglioramento della capacità di governo, salvo la pur importante questione del voto a data certa delle proposte dell’Esecutivo, e si accetta la logica che questo obbiettivo si debba raggiungere con la distorsione eccessiva della rappresentanza attraverso una legge elettorale copiata dai Comuni, che sono tutt’altra cosa rispetto al Parlamento di una Repubblica. Legge elettorale del tutto simile al giustamente criticato Porcellum, con l’aggiunta di un ballottaggio fra liste, che non è altro se non un’elezione diretta del premier, camuffata nelle forme di una democrazia parlamentare.

A questo si aggiunge la perplessità circa l’adozione del metodo per il Senato dell’elezione di secondo grado, sul modello, che si sta rivelando fallimentare, delle Città Metropolitane e delle Province, cancellate senza aver ancora trovato una soluzione per governare le aree sovracomunali.

Non sono obiezioni trascurabili, ma pure sarebbero sormontabili, almeno in fase provvisoria, se non emergesse in tutto il testo della riforma uno spirito superficiale e sbrigativo, che corrisponde certo alle attese di un paese che chiede di “fare”, ma non obbliga a fare malamente. Lo testimoniano tanti piccoli ma importanti particolari, che tralascio per non annoiare, ma che, inseriti in Costituzione, diventano difficilmente emendabili. Uno per tutti quello segnalato dal professor Ainis, a proposito delle Regioni a Statuto speciale.

Fatte queste considerazioni di merito, restano quelle di metodo, anch’esse importanti. Non si è voluto capire da subito che una proposta votata da un Parlamento con una fortissima distorsione maggioritaria (ricordiamoci che il Pd di Bersani aveva superato di poco il 25%) richiedeva una gestione coinvolgente e rasserenante e doveva essere totalmente sganciata dai conflitti relativi al Governo. Avrebbe aiutato lo spacchettamento dei quesiti, come proposto dai radicali, in aiuto a Renzi. Mi si obbietta che l’Italia è un paese sgangherato e che Renzi ha fatto l’unica cosa possibile. È vero in parte, ma non del tutto, perché la tentazione di trasformarlo in un plebiscito su di sé e sul governo è stata sua e solo sua. Resta comunque il fatto che gli elettori dei partiti del “Sì” sono all’incirca il 40%, mentre il caravan serraglio del “No” rappresenta il 60% del Paese. E qui conta la maggioranza assoluta e non quella relativa. E conta anche poco la eterogeneità degli schieramenti, perché non si vota un programma di governo ma le regole del gioco per tutti.

Per non parlare degli argomenti usati per convincere gli elettori: quasi tutti estranei al merito della riforma. Per non parlare del ricorso alla “riduzione dei costi della politica”, quasi che questa fosse un disvalore da minimizzare. Salvo scoprire che c’è sempre qualcuno che la spara più grossa e ti mette in imbarazzo, come si vede in questi giorni.

Queste considerazioni dovrebbero quindi indurre a votare NO, se non ce ne fossero anche altre che inducono a conclusioni meno frettolose. Volenti o nolenti, il voto è stato imprudentemente trasformato in un voto politico. E una preoccupazione per le sue conseguenze non può essere sottovalutata.

Ci sono rischi politici probabilmente comunque, per la sgradevolezza del dibattito (?) in corso. Ma certo sarebbe pericoloso un vuoto politico ad un anno dalle elezioni. È vero che Renzi potrebbe restare comunque; è vero anche che in democrazia “morto un Papa se ne fa un altro”. Eppure la situazione del paese è sempre più grave, al di là degli ottimismi d’ordinanza, e una destabilizzazione non governata (cosa pensa Mattarella?) peggiorerebbe le cose, agevolando il trionfo dell’antipolitica, che ormai permea vasti settori, e non solo il Movimento 5 Stelle, e aumentando lo scetticismo sulla possibilità stessa delle riforme.

Questo spiega il fastidio e l’imbarazzo mio e di tanti convinti riformatori, che si sentono di fronte a quella che veniva chiamata “l’alternativa del diavolo”. Invidio chi, da entrambe le parti, con entusiasmo e buona fede, ma talora anche con arroganza, ha certezze assolute. Da vecchio riformista, per tutta la vita ho sostenuto che “il meglio è nemico del bene”. Ma oggi ci interroghiamo proprio su questo: qual è il meglio?

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