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sabato, 7 Settembre 2024

Il futuro dell’Europa: il ruolo del Partito Socialista Europeo

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Nel 1944 Altiero Spinelli concepiva con straordinaria visionarietà, con fantasia pragmatica, con spirito di innovazione, quella deliziosa utopia che possiamo chiamare ancora oggi Europa Unita. Invitava a non lasciare che la lava incandescente delle passioni popolari tornasse a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgessero le vecchie assurdità.
Nel “Manifesto di Ventotene” Spinelli delineava un’ideologia per il mondo a venire fondata sulla pace, sulla condivisione, sulla rinuncia agli egoismi e ai totalitarismi.
La sfida è sempre attuale e oggi sembra esserlo ancora di più.
Ogni conquista va presidiata, rivendicata, rilanciata. Siamo responsabili del passato, ma, ancora di più, del presente e del futuro. Il nemico esiste, cambia forma, ma si insinua là dove le difese immunitarie sono basse. Quale ruolo hanno, dunque, le forze democratiche per contrastare la deriva che vediamo sotto i nostri occhi? In questo contesto un ruolo fondamentale è e sarà giocato dal Partito socialista europeo, che si è rivelato essere negli ultimi anni la cartina al tornasole dello stato di salute delle sinistre riformiste di tutto il vecchio continente. Le elezioni europee del 2014 hanno visto accorciarsi le distanze nei confronti dei popolari, con un sostanziale “pareggio”. Il frutto di quel voto è stato un accordo di maggioranza tra PSE e PPE, i due maggiori partiti, in nome della governabilità e della stabilità.
Questo abbraccio ha, a suo modo, alimentato, in realtà, il vento dell’anti europeismo, cavalcato dai partiti e dai movimenti populisti dei vari Stati membri, che hanno continuato a delineare l’Unione come una “matrigna cattiva”.
Il 26 maggio 2019 si terranno le prossime elezioni europee, con uno scenario molto confuso e complesso. Sarà importante arrivarci con un PSE riformato e più forte. E’ necessario che si abbandonino le ambiguità degli ultimi anni verso proposte forti e incisive. Al centro della nostra azione dovranno esserci proposte che permettano ai socialisti di tornare a occupare degnamente uno spazio che negli ultimi anni hanno lasciato colpevolmente libero: quello della giustizia sociale.
Uno degli errori del PSE, in questi anni, è stato quello di credere che la battaglia da giocare in questo periodo fosse quella tra populisti e riformisti, non capendo che la vera sfida consisteva nello scardinare la dicotomia “Sinistra riformista VS Sinistra Radicale”, provando a trovare convergenze tra le due aree in nome di valori comuni come uguaglianza, giustizia sociale e libertà. Convergenze che, in tutta Europa, le destre hanno quasi sempre trovato, ricompattandosi dietro ai loro valori fondanti, come il protezionismo e il conservatorismo.

Il Partito Democratico e il PSE

L’approdo del Partito Democratico nella famiglia dei socialisti europei è stato tanto travagliato quanto atteso. Dall’anno della sua nascita, il 2007, sono passati quasi sette anni prima che i democratici italiani decidessero di aderire al PSE, chiedendo di modificare il nome del gruppo europeo in “Socialisti & Democratici”. Come spesso accade, a prendere questa decisione non è stato un leader socialista convinto. È infatti con l’avvento di Matteo Renzi alla segreteria del partito che il PD compie questo passo all’inizio del 2014.
Proprio pochi mesi prima delle Elezioni Europee che vedranno i dem vincitori con il 40,8% dei consensi, capofila tra i partiti socialisti e socialdemocratici europei, soprattutto come numero di eletti al Parlamento Europeo.
La scelta di entrare a far parte del PSE e la straordinaria affermazione elettorale lasciavano presagire un impegno, dal punto di vista squisitamente politico e interno alle dinamiche socialiste, che in realtà non c’è mai stato. Matteo Renzi, infatti, non ha mai sfruttato come avrebbe dovuto il peso politico del Partito Democratico all’interno del Partito Socialista Europeo. Non si è fatto sentire riunendo i socialisti in preparazione dei Consigli Europei e non ha partecipato come Segretario alle riunioni più informali e politiche.
Una lunga serie di occasioni perse, tra le quali la più importante, quella di non contrapporre alle scelte congressuali del Partito Socialista Europeo – che ha continuato a restare sulla linea di Visegrad e dell’asse franco-tedesco – il punto di vista dei Paese Mediterranei come il nostro, la Spagna e la Grecia. Strategia che avrebbe permesso soprattutto al Partito Democratico di tessere un rapporto con Siryza e il suo leader Tsipras, per dimostrare la fattibilità di proposte radicali ma al contempo sostenibili in un quadro di Unione Europea.
Un altro grande vulnus del Partito Democratico nei confronti delle Istituzioni Europee è stata la mancanza di una visione strategica a lungo raggio per quanto riguarda il quadro finanziario. Un Paese al quale spesso giustamente ci si oppone dal punto di vista delle scelte economiche come la Germania, ha organizzato scientificamente due differenti incontri nei quattro anni di mandato per discutere assieme a tutti gli attori europei non solo del quadro appena licenziato ma addirittura di quello successivo. Una visione strategica e di prospettiva che sono mancate al Partito Democratico e all’Italia, che avrebbe potuto imprimere al Quadro Finanziario un indirizzo più marcatamente sociale, soprattutto per quanto riguarda il tanto sbandierato “Pilastro Sociale”, che continua a rimanere un documento enunciato ma vuoto di politica e politiche. Anche sui fondi strutturali si sarebbe potuto dare un indirizzo diverso al documento, oppure sul tema delle migrazioni, che è stato affrontato con un approccio estremamente securitario che, da sempre, porta acqua al mulino delle destre e non a quello dei socialisti.

Che fare?

Nei prossimi mesi il Partito Socialista Europeo (e tutti i partiti nazionali che ne fanno parte) si avvierà a una prova non da poco come le prossime Elezioni Europee del maggio 2019. Il 7 e 8 dicembre, a Lisbona, il PSE dovrebbe confermare ufficialmente l’olandese Frans Timmermans -Vicepresidente dell’attuale Commissione- come proprio Spitzenkadidat (a formula secondo la quale la carica di Presidente della Commissione Europea viene conferita al leader del partito con il maggior numero di seggi al Parlamento Europeo). Nonostante Timmermans sia un politico molto esperto, parli sette lingue e abbia ricoperto in passato importanti ruoli politici e diplomatici, questa scelta ha visto sollevarsi non poche critiche. Le più puntuali, forse, sono quelle che sottolineano come il Vicepresidente sia espressione di un partito, quello socialista olandese, in grande affanno e con un calo di consensi non indifferente, e il dubbio che la scelta del Vicepresidente della Commissione uscente possa essere percepita dagli elettori come un segnale di continuità con il passato, dato che Timmermans incarna quel modello di socialismo europeo che ha accettato ogni tipo di compromesso, spesso al ribasso, in nome della governabilità. I dubbi sono molti anche sul modello “Spitzenkandidat” che altro non è che un accordo sulla parola per provare a creare un sistema di elezioni presidenziali che in realtà non esiste, ma questa è una questione più tecnica che politica.
Al netto di dubbi e perplessità, i socialisti dovranno davvero farsi carico di un rinnovamento programmatico che appare quanto mai necessario.
Bisognerebbe sottolineare, innanzitutto, che il tema “europeisti vs populisti” tanto caro a molti socialisti in Europa non può essere il fulcro del ragionamento, e che la prima cosa da sottolineare sarà la distanza dai conservatori del Partito Popolare Europeo. Rompendo la narrazione “Europeisti vs Sovranisti” da tempo molto in voga, per ammettere, senza paura, che la sfida che abbiamo davanti sarà quella tra Destra e Sinistra, non tanto a livello ideologico quanto programmatico.
Il PSE dovrà, innanzitutto, abbandonare le ambiguità degli ultimi anni nei confronti di proposte forti e incisive come ad esempio il “Piano Prodi” per l’Europa Sociale o l’idea, lanciata mesi fa dall’Italia, di un’assicurazione europea contro la disoccupazione.
Tre gli ambiti su cui poter incidere: lavoro, previdenza e investimenti.
I socialisti europei, negli ultimi anni, hanno utilizzato gli stessi metodi della destra: abbracciando l’idea di austerità proposta dai popolari, anteponendo il rigore economico e finanziario alla vita delle persone.
Bisogna iniziare a mettere un po’ di radicalità nelle proposte, inserendo nell’agenda, tra i primi punti, la lotta alle disuguaglianze, il contrasto alla povertà, un piano per affrontare la precarietà della vita, il diritto al lavoro. Focalizzandosi sui bisogni delle cittadine e dei cittadini europei, dimostrando loro che l’Europa può davvero essere la soluzione a problemi che i singoli Stati non riescono più ad affrontare autonomamente.
Il Partito Socialista Europeo, anche quando i problemi non possono essere risolti a livello europeo ma dai singoli stati, deve essere capofila nello spronare i singoli partiti da cui è composto ad affrontare e risolvere queste sfide in modo chiaro e non contraddittorio come spesso è accaduto negli anni passati.
Questo cambio di passo è necessario non solo per la sopravvivenza del PSE e dei partiti socialisti e socialdemocratici, ma soprattutto per dimostrare che il progetto di un’Europa più giusta e più solidale è ancora possibile.
Abbiamo bisogno di un cambio di passo da parte della grande famiglia socialista. La soluzione è più semplice di quanto si possa pensare: tornare a essere se stessi.

Scritto da Daniele Viotti, europarlamentare

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