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sabato, 27 Luglio 2024

Il cattivo. Job Act, due domande semplici

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Stefano Tallia, segretario Stampa Subalpina
E va bene. Ammettiamo che in un paese nel quale la criminalità controlla l’economia di cinque regioni, il tasso di scolarità è il più basso d’Europa e gli investimenti in ricerca e innovazione sono a livelli da nazione in via di sviluppo, il problema della mancanza di competitività sia rappresentato dalla presenza dell’articolo 18 nello Statuto dei Lavoratori.
Facciamo anche finta di non sapere che già oggi il licenziamento per ragioni economiche è possibile e non solo nelle aziende al di sotto dei quindici dipendenti.
Tappiamoci anche bocca e orecchie circa il fatto che le imprese italiane, caso unico in Europa, possano fare libero accesso agli ammortizzatori sociali senza nulla dover dimostrare sulla veridicità dello stato di crisi, né sulle strategie adottate per uscirne.
Tutto ciò detto, vorrei porre una semplice domanda che si muove nell’alveo delle regole dell’economia liberale.
Considerato che anche le tutele hanno un valore economico, perché non attribuirne uno all’articolo 18?
Per essere più chiaro. L’impresa vuole la libertà di licenziare senza assumersi l’onere di un contratto a tempo indeterminato? Benissimo, pagherà quel lavoratore di più e non solo nel momento di sciogliere il rapporto di lavoro. Lo farà perché quel dipendente si assumerà in prima persona il rischio di restare a casa da un giorno all’altro. Un rischio che, naturalmente, ha un costo, come c’è l’hanno per l’azienda le procedure sindacali da seguire in caso di licenziamento per ragioni economiche. Quanto? Un terzo del salario in più rispetto al lavoratore tutelato dall’articolo 18 mi parrebbe una misura equa. Semplice, no? Un principio che, peraltro, dovrebbe essere esteso a tutte le forme di lavoro a termine dove l’assunzione del rischio d’impresa grava allo stesso modo e per intero sulle spalle del lavoratore.
La risposta alla domanda, tuttavia, temo di conoscerla. Il problema è che nel nostro paese, molto raramente, si chiamano le cose con il loro nome. La realtà -e le proposte trapelate ieri sui provvedimenti ai quali starebbe lavorando il Governo lo dimostrano- è che l’obiettivo vero è, molto banalmente, quello di pagare meno il lavoro. Idee fuori dal perimetro della Costituzione come quella di demansionare il dipendente abbassandone lo stipendio, nascondono in raltà questo intento.
Ma veniamo valla seconda domanda, quella alla quale francamente non riesco a trovare una risposta. Se non c’è nulla di strano nel fatto che idee di questo genere possano arrivare da forze della destra, mi chiedo invece cosa abbiamo a che vedere con la storia, il patrimonio culturale e gli interessi materiali che dovrebbero essere difesi da una normale forza di sinistra. Qualcuno saprà rispondermi?
Da “Parole al vento”, il blog di Stefano Tallia

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