Tra la Sierra Leone flagellata dall’Ebola e l’Uganda, dove era stata per qualche giorno la bambina che le solerti madri di Fiumicino non volevano a scuola con i loro pargoli, ci sono 5200 chilometri. Roma è più vicina al focolai dell’infezione di circa 700 chilometri, e dunque, a dar retta alla aberrante logica delle signore, l’unica che avrebbe avuto motivo di preoccuparsi era la madre della bambina rifiutata. Che avrebbe fatto forse meglio a restarsene in Uganda, dove lo studio, compreso quello della geografia, è visto non come un obbligo, ma come una occasione di riscatto e di crescita personale e collettiva. La scuola ugandese costa cara, e molte famiglie si svenano pur di mandarci i figli almeno per qualche anno. Per i pochi che arrivano a mettere piede all’università di Makerere, una delle più antiche e prestigiose dell’Africa, c’é, insieme all’onore grande di avere il nome stampato in prima pagina su tutti i giornali della capitale, l’obbligo morale, altrettanto grande, di contribuire al benessere del paese. E nessuno si sottrae.
Ci pensavo mentre guardavo le mamme di Fiumicino, infervorate davanti alle telecamere nel disperato tentativo di spiegare un comportamento che, al di là di ogni valutazione etica, dimostra soltanto una abissale ignoranza. La stessa che affligge la maggioranza degli italiani, se è vero, come dimostra un autorevole studio dell’OCSE, che siamo all’ultimo posto tra i 24 paesi presi in considerazione per le “competenze che consentono di vivere e lavorare nel nuovo secolo”. Cinque italiani su cento sono analfabeti totali, trentotto su cento sanno a malapena decifrare una scritta semplice. Trentatré su cento – e tra questi c’é pure un dodici per cento di laureati – non sono in grado di capire un testo scritto che riguardi fatti collettivi o di rilievo per la vita quotidiana. Gli italiani che leggono almeno un libro all’anno sono meno del quaranta per cento. Le famiglie che hanno in casa un libro appena il venti per cento.
Le mamme di Fiumicino, con il loro zoppicante italiano e l’incapacità di provare vergogna, sono tutti noi. Ignoranti e fieri di esserlo, chiusi nelle nostre convinzioni maturate guardando ore e ore di pessima televisione, impermeabili al resto del mondo, che suscita soltanto fastidio e sospetto. Così siamo, e così, purtroppo, vogliamo continuare a essere. Gli anni di Berlusconi hanno sdoganato modi di pensare e comportamenti che in altri tempi sarebbero stati mitigati da un residuo di pudore. Gli anni che verranno, con il cacciaballe che aspira a prenderne il posto, non promettono niente di meglio.