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domenica, 8 Settembre 2024

Fiat diventa Fca: Torino si interroga sul futuro

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Fca. Fiat Chrysler Automobiles. È questo il nuovo logo della Fiat che apre il nuovo capitolo della casa automobilistica americana, come lo ha definito il presidente John Elkann.
Il Lingotto trasloca dunque: nuova sede legale in Olanda e fiscale in Gran Bretagna.
Una svolta che non poteva dare seguito che alle reazioni degli esponenti della vita politica e anche religiosa della città di Torino.
Cauto il presidente della Regione Roberto Cota che non disdegna delle frecciatine all’amministratore delegato dal maglioncino blu più famoso al mondo: «Dopo che la Fiat ha fatto le operazioni che doveva fare, adesso mi auguro che il bravo capitano sia anche coraggioso, e faccia subito ripartire Mirafiori. Un imprenditore va dove gli conviene, questo è certo – aggiunge -. Da noi la situazione è quella che è perché Roma fa di tutto per mandare via le imprese. Siamo in un sistema malato, dove ci si occupa di tutto tranne che dei problemi concreti».
A proferire verbo è anche il vescovo di Torino Cesare Nosiglia che da una sorta di benedizione sulla decisione di Marchionne: «Mi pare che oggi la vocazione produttiva, oltre che nel mantenimento dei posti di lavoro diretti e indotti e nella ripresa delle produzioni in particolare sulle linee di Mirafiori, vada progettata e realizzata in un contesto più ampio di condizioni favorevoli che, io credo, la città di Torino e il suo territorio sono in grado di garantire».
«La costituzione di un gruppo mondiale – dice ancora Nosiglia – rappresenta una sfida precisa al territorio torinese e alle sue istituzioni: è il momento di dimostrare che siamo in grado di creare le condizioni idonee per essere e rimanere ‘attrattivi’ per tutto quanto riguarda il contesto in cui l’azienda deve lavorare: infrastrutture di trasporto, reti di comunicazione, capacità di offrire sistemi di accoglienza adeguati».
«Le scelte di Fiat, ovviamente legittime e prese nell’autonomia e responsabilità degli azionisti e dei dirigenti, – afferma il monsignore – vanno viste da noi prima di tutto nella prospettiva della città e del suo territorio. Se è fondamentale che il gruppo continui a mantenere qui una base produttiva e occupazionale, è ugualmente importante che a Torino rimangano i centri di progettazione e ricerca che hanno maturato, in oltre un secolo, una cultura dell’automotive di livello mondiale, e che costituiscono anche oggi un patrimonio di conoscenza, personale qualificato, aziende specializzate che non si può e non si deve disperdere».
«Mi pare che oggi la vocazione produttiva, oltre che nel mantenimento dei posti di lavoro diretti e indotti e nella ripresa delle produzioni in particolare sulle linee di Mirafiori, – conclude – vada progettata e realizzata in un contesto più ampio di condizioni favorevoli che, io credo, la città e il suo territorio sono in grado di garantire».
A sottolineare il forte legame, quasi in una tensione apotropaica, quasi a scongiurare la possibilità che la Fiat assuma un’altra nazionalità, è il presidente della Provincia Antonio Saitta: «Radici e storia della Fiat sono e restano legate a Torino e al Piemonte, all’impegno di migliaia e migliaia di famiglie che con il loro lavoro nei decenni hanno contribuito con la famiglia Agnelli alla crescita del marchio. Il futuro invece è nel mondo e dobbiamo prenderne atto».
«Sarà pure la necessità dei tempi, ma sapere che Torino non è più la sede ufficiale del marchio, di fatto chiude per sempre una lunga e gloriosa epoca – aggiunge -. La speranza è che il nuovo assetto societario sia in grado di competere davvero nel mercato globale dell’auto».
In ogni caso dai piani alti della Fiat fanno sapere che «proseguiranno la propria missione, compresi naturalmente gli impianti produttivi in Italia e nel resto del mondo, e non ci sarà nessun impatto sui livelli occupazionali». Amen.

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