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sabato, 27 Luglio 2024

FCA, l’Olanda e il Patto Sociale

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In questi tempi nei quali la realtà viene semplificata, e sovente ridotta ad un manicheo “giusto o sbagliato”, con domande implicite che conducono l’uditore alla risposta che si desidera, è balzata alle cronache la vicenda FCA e la richiesta di prestito, garantito indirettamente dallo Stato italiano per l’80%, per un importo di circa 6,5 miliardi di euro. 

Più o meno la formulazione del quesito è stata: “vi sembra giusto che una società che ha spostato la sua sede legale, e fiscale, in Olanda ora possa ricevere dall’Italia un prestito agevolato?

La domanda così formulata non può che avere una risposta: “no, non è giusto!”. Neanche l’argomentazione che tali finanziamenti saranno utilizzati per gli stabilimenti italiani potrebbe mitigare una frase così autoevidente. Forse lo potrebbe una strana ipotesi di far entrare lo Stato nei Consigli di Amministrazione delle aziende che ricevono questi prestiti, ma neanche questo argomento può aiutarci a far diminuire lo sdegno generato dalla domanda iniziale.

Tutto questo però non è altro che una semplificazione partigiana della realtà. Il Patto Sociale è ciò che regge qualunque forma di governo, che questo sia esplicitato o implicito: non esiste società organizzata senza che vi sia un patto tra tutti i cittadini. 

E’ la violazione strutturale del Patto Sociale feudale che ha portato alla fine dell’ancien régime. Oggi possiamo, infatti, vedere con i nostri occhi che gli storici materialisti, come ad esempio Antonio Labriola, sbagliavano pensando che il feudalesimo fosse incompatibile con la borghesia e con la rivoluzione industriale, e che quindi la rivoluzione francese fosse stata causata principalmente dal mutamento delle dinamiche nei mezzi di produzione. Il feudalesimo (per semplificare: il patto per il quale al signore feudale, in cambio della protezione dal nemico esterno e dell’amministrazione della giustizia, erano dati i mezzi economici ed una signoria quasi illimitata sulle terre, principale mezzo di produzione della ricchezza) è assolutamente compatibile col capitalismo e noi ne abbiamo la dimostrazione: lo stato cinese. La Cina non è nient’altro che l’evoluzione di uno Stato feudale nel quale anche gli imprenditori privati, sotto il cappello dello Stato (feudatario), possono tranquillamente prosperare, anzi sono ben felici che lo Stato amministri la giustizia e che li difenda dai nemici esterni. Lo Stato feudale è ben lieto di svolgere questo compito perché la prosperità delle imprese coincide con la propria.

Così però non è accaduto durante la fine del ‘700, la classe dirigente dell’epoca, la nobiltà, in particolar modo quella feudale, aveva ormai rotto il patto sociale e con la convocazione degli Stati Generali del 1789 fu palese la frantumazione della società, l’inesistenza di una ragione stessa per lo Stato francese così come era concepito.

Chi in questi giorni ha narrato la realtà semplificata della domanda iniziale è, principalmente, ma non solo, quello stesso partito di maggioranza che ha approvato il decreto che contiene la possibilità di richiedere e di erogare il prestito. La prova a contrariis da poter fare è davvero molto semplice: perché, al posto di indignarsi ora, nel decreto non è stato inserito un vincolo sulle sedi legali e fiscali? Molto semplice, perché non sarebbe stato possibile. Nello stesso modo le proposte di inserire nei Consigli di Amministrazione di queste aziende persone nominate dallo Stato si è rivelata solo una battuta politica. Queste persone, infatti, sarebbero a rappresentare lo Stato con quali linee di politica industriale? Nessuna. Quindi la loro presenza sarebbe inutile o peggio sovente dannosa.

Il Patto Sociale italiano non esiste più. Questa è la triste realtà che prima o poi deve essere verbalizzata, per dare a tutti noi la coscienza della cruda situazione presente e la possibilità di ritrovarsi per ricostruire il futuro. Ormai le agenzie politiche (perché non abbiamo più partiti sulla scena politica) non fanno altro che confezionare un “prodotto” che vendono solo ai loro consumatori-elettori. Nessuno di loro ha una visione dello Stato, perché non hanno più una consapevolezza delle fondamenta del nostro Patto Sociale, ma si limitano a parlare con un linguaggio “pubblicitario” (ormai la politica è solo più comunicazione) per mantenere i propri clientes e se possibile aumentare “fette di mercato”.

In un Paese già strutturalmente diviso tra partigianerie contrapposte e tifoserie, siamo sempre i guelfi e i ghibellini, ormai ciò che ci tiene uniti è solo una Carta Costituzionale, che però ben poca cosa può fare, mancando la consapevolezza nella classe dirigente degli elementi essenziali del Patto che ciascuno di noi avrebbe stipulato.

Bene ha fatto, dunque, FCA ad utilizzare una facoltà che le conferisce la legge italiana. Ha fatto bene perché non si può chiedere ad un imprenditore di restare dentro una casa che sta ormai crollando su se stessa, esattamente come ciascuno di noi farebbe cercando di salvarsi autonomamente. Neanche la nostra classe politica può richiedere alle categorie produttive – sì quella borghesia che ha acceso la miccia della rivoluzione dell’89 – di entrare a forza in un Patto Sociale che nei fatti non esiste più, perché coloro che dovrebbero rappresentare la Nazione rappresentano nel migliore dei casi istanze di parte, ma normalmente solo quelle di una ristretta cerchia di persone, che nella politica vedono la possibilità del proprio riscatto economico e sociale.

In questo quadro la situazione è aggravata dalla fine del sogno europeo dei padri come Jean Monnet, Robert Schuman o Altiero Spinelli: il sogno utopico di costruire una unione progressiva, dall’economia alla politica, si è infranto contro la realtà della storia. Nessuna unione politica, di cui abbiamo traccia nella storia, è mai avvenuta se non a prezzo del sangue di qualcuno che ha dovuto bagnare abbondantemente la terra. I padri avevano pensato che i 50 milioni di morti della Seconda guerra mondiale fossero sufficienti, ma purtroppo quelle persone non sono morte per costruire gli Stati Uniti d’Europa, sono morte per resistere alla tirannia e riconquistare la libertà. I morti non si possono prestare.

Il primo passo che dobbiamo a gran voce chiedere, che ciascuno di noi deve pretendere, è uscire dalla partigianeria, uscire dal “prodotto politico-comunicativo” e pensare che tutti insieme dobbiamo sottoscrivere un nuovo Patto Sociale. Nessuno deve e può considerare un partito politico avversario come un nemico o peggio come un usurpatore. L’argomentazione: “facciamo un governo in qualunque modo pur di non andare a elezioni perché altrimenti vincerebbe un’altra parte politica, nemica, e sarebbe la “fine””, non è un’argomentazione accettabile in una democrazia, o meglio lo è solo quando, crollato il Patto Sociale, i partiti politici diventano “parti”, e ciascuna “parte” pensa solo ed esclusivamente al proprio interesse. 
La crisi economica che dovremo affrontare a breve metterà a dura prova la nostra società e la nostra città; tra un anno ci saranno le elezioni amministrative per la Città di Torino e prima o poi anche quelle politiche. Se non saremo in grado di ricostruire la Politica e il Patto Sociale tra di noi, saremo tutti sconfitti e la nostra unica, amara, speranza sarà che tante grandi o piccole FCA vadano in Olanda, in Svizzera, in Francia o dove più desiderano e di là, benevolmente, facciano ancora qualcosa per questa Italia sempre imprigionata nel “particulare suo”.

Paolo Giordana

@GiordanaPaolo

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