Scritto da Ezio Locatelli*
Tutta l’Italia a ruota della Lombardia, prima regione d’Italia a chiudere i battenti, dopo essere finita nell’occhio del ciclone coronavirus, insieme ad altre province del nord. Quella che in tanti anni è stata definita la locomotiva dell’Italia e dell’Europa – per dirla alla vecchia maniera di Roberto Formigoni, ex presidente delle Regione condannato a 5 anni e 10 mesi per corruzione – ha fatto da battistrada allo smantellamento dell’intervento pubblico, nello specifico alla privatizzazione della sanità, al taglio di personale, di posti letto, di servizi territoriali, di prevenzione. Col varo della legge 31 del ’97, una legge osteggiata durissimamente da Rifondazione Comunista, si è messo a repentaglio la salute come diritto fondamentale.
La sanità pubblica, senza la quale sarebbe il caos totale, è stata ridimensionata a favore di una sanità privata interessata solo a trarre profitto dalle malattie e dalle prestazioni più remunerative (i privati gestiscono circa la metà della spesa sanitaria). Una privatizzazione sciagurata volta a trasformare il diritto alla salute da diritto intangibile, costituzionalmente protetto, a merce, a base di calcolo economico e di miglioramento delle aspettative di profitto per centri di potere economico interessati solo a fare affari.
Fa impressione leggere in questi giorni che stante le condizioni disperate in cui si trova la Lombardia, per carenza di personale, limitatezza di posti in terapia intensiva “bisogna scegliere a chi dare precedenza, chi salvare” tra le persone più o meno giovani, più o meno malate. Non solo privatizzazione della sanità. La Lombardia è la regione che ha fatto da battistrada a una ideologia della crescita e della deregulation che ha sacrificato salute, salubrità ambientale, sicurezza sociale, qualità dl lavoro.
E’ la regione che ha fatto da battistrada ai primi progetti di sussidiarietà, federalismo e/o di secessione le cui ricadute non erano soltanto nei termini di una crescita delle ineguaglianze territoriali ma, sul piano interno, di un disconoscimento dei bisogni sociali, di una devastazione delle protezioni sociali, di una divisione tra cittadini di serie A e di serie B. Contro questo modello sciagurato, violento contro le persone e la natura, ci siamo sempre battuti in prima persona sia a livello sociale che istituzionale convinti come eravamo della sua fallimentarità.
Un modello divenuto di fatto, nel corso deglim anni, con diversa intensità, modello nazionale. L’impegno contro la diffusione del coronavirus in atto in tutto il paese deve diventare lotta contro un modello liberista che non regge più, che riduce le difese sociali, che mette a rischio diritti e salute dei cittadini e dei lavoratori. Più prevenzione, più ricerca, più sanità pubblica, più difesa dell’ambiente. In generale più intervento pubblico. E’ ora di dire basta a uno sviluppo senza regole che mette al centro gli interessi privati a scapito della vita delle persone.
*segretario di Torino, consigliere regionale della Lombardia dal 1995 al 2005