Permane un senso di colpa ad aver concentrato gran parte delle risorse emotive sulla sindaca di Torino Chiara Appendino, accusata di falso in atto pubblico insieme con i suoi sodali amministrativi, il capo di gabinetto Paolo Giordana e l’assessore al bilancio Sergio Rolando. Mentre lei si industriava con sorrisi civettuoli a dissipare nel popolo grillino paure e timori per un’accusa seria recapitata ad un amministratore pubblico, il giornalismo si raccoglieva attorno alla perdita di una collega coraggiosa: Daphne Caruana Galizia. L’hanno uccisa a Malta, imbottendo di esplosivo la sua auto: un’esecuzione in tipico stile mafiosa. Uccisa nel suo Paese, nel quale aveva profuso energie vitali per scoprire e denunciare il malaffare, costringendo anche un primo ministro alle dimissioni. E in quella circostanza pare non ridesse.
Non è corretto porre sulla stesso piano Chiara Appendino e Daphne Caruana Galizia: sarebbe “vincere facile”, ed è un capolavoro di stile che non vogliamo sottrarre al suo difensore d’ufficio Luigi Di Maio, l’artigliere di complemento che ha promesso di rispondere “colpo su colpo” alle accuse di stampa e avversari politici con il sostegno di una magistratura indipendente e un’ardita semantica: “stanno provando ad accerchiarci da tutti i lati …”. Non sarebbe giusto infierire nel confrontare personalità diverse. E né aggiungerebbe, né toglierebbe nulla ad una vicenda che è diventata l’emblema delle difficoltà di una donna chiamata ad impegni decisamente superiori alle sue capacità, con il vezzo di scaricare sempre le responsabilità su altri, dai bilanci che non quadrano ai feriti in piazza San Carlo. Però stona quell’ormai fastidioso sorriso pret à porter da esibire in qualunque circostanza, alla bisogna, come passpartout della propria intangibilità, mentre i fatti concorrono a dire esattamente il contrario. E’ ora di sdoganare le emozioni vere: si renderà così almeno simpatica nelle sue tribolazioni di sindaca.