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sabato, 9 Novembre 2024

Coronavirus tutti a casa: ma c’è chi non ce l’ha

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Scritto da Marco Grimaldi*

Buona domenica a noi,

a chi ha fatto il pane ieri notte, a chi ha messo il ragù sul fuoco già all’alba. A chi ha lavorato tutta la settimana fuori casa, a chi l’ha fatto da casa in mezzo alle urla e alle risate dei bambini. A chi è rimasto solo e isolato in casa. A chi è ammalato, a chi ha perso un proprio caro. A chi sta lottando in terapia intensiva. A chi lavora anche oggi tenendo aperto un ospedale, stando alla guida di un pullman o di una bici che fa consegne. A chi teme da tempo Boris Johnson e Mr Trump, ma anche a chi inizia a capire che i due non sono i protagonisti di una black comedy di Netflix.

E infine, un abbraccio a chi vorrebbe stare a casa, ma la casa non ce l’ha.

Faccio mie le parole di tanti operatori e operatrici di bassa soglia, i cui servizi sono “essenziali” oggi più che mai e non possono chiudere, e che perciò si espongono ed espongono i propri cari ogni giorno al rischio di entrare in contatto con il Covid-19 e devono essere tutelati e supportati al massimo: “Chiediamo alle istituzioni di non lasciarci soli ed iniziare a pensare da subito alla possibilità di predisporre luoghi dedicati alla quarantena di chi non ha una casa”. Aspettano ancora disperatamente le mascherine, ma anche tute, occhiali e calzari necessari in caso di persone con sintomi, per poter continuare ad assistere i tantissimi senza dimora delle nostre città. Al momento il reperimento e il costo dei materiali sono a carico delle organizzazioni, ma la pubblica amministrazione dovrebbe dotare tutti di ogni dispositivo.

Le stime Istat parlano di 50 mila persone senza dimora, più di 1.700 anche a Torino, costrette a utilizzare le mense per nutrirsi e i centri di accoglienza per dormire, entrambi luoghi in genere affollati e promiscui, nei quali la distanza minima non può essere, in molti casi, rispettata. Chi non ha un’abitazione, inoltre, pur avendo compreso la gravità della situazione e sforzandosi con buona volontà di rispettare le regole, ha molta difficoltà ad adeguarsi alle norme igieniche di base previste dal Dpcm, per non parlare della complessità nel reperire i dispositivi di protezione, perché non ne ha le possibilità economiche. Ecco perché le strutture di accoglienza dovrebbero essere messe nelle condizioni di fornirglieli.

Serve uno sforzo congiunto tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore per evitare la chiusura dei servizi, ma anche per predisporre luoghi per un potenziale autoisolamento per le persone senza dimora che dovessero essere malate, e in generale per offrire un riparo diurno ai senza dimora, che di giorno sono costretti a vagare per la città, terrorizzati dal rischio contagio ma anche preoccupati di essere fermati e sanzionati per il loro “girovagare”. Servono luoghi di “tregua” diurna.
So che si sta facendo già molto, ma chiedo alle istituzioni, comunali e regionali in particolare, di non lasciarli soli e iniziare a pensare da subito alla possibilità di predisporre dei luoghi dedicati alla quarantena di chi una casa non ce l’ha. Oltre a garantire l’accoglienza h24 aumentando strutture e posti letto, si possono utilizzare altri luoghi pronti per altri usi: non solo le scuole in disuso dove le classi possono essere stanze, ma anche gli housing, i condomini sociali, le foresterie militari.
È un momento di emergenza, pensiamo anche a chi la casa non ce l’ha.

*capogruppo di LuV in consiglio regionale

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