Nessun inganno escogitato dalla allora sindaca Chiara Appendino e dai suoi uomini dei conti, ma solo errori fatti in “buonafede” e una gestione sbagliata del debito fin dal 2013, con la giunta Fassino. È quanto emerge dalle motivazioni della sentenza nel processo Ream, che ha portato i giudici della Corte d’Appello ad assolvere nel maggio scorso l’ex sindaca, Chiara Appendino, l’ex capo di gabinetto Paolo Giordana e l’ex assessore al Bilancio, Sergio Rolando, dall’accusa di falso in bilancio relativo al debito di cinque milioni di euro, caparra che la società Ream aveva versato per l’acquisizione dell’area ex Westinghouse.
Il pagamento del debito era stato posticipato al 2018, mentre nei bilanci 2016 e 2017 secondo l’accusa c’erano stati dei trucchi contabili che non aveva iscritto il debito. In primo grado Appendino e Rolando erano stai condannati a sei mesi, ad otto Giordana. I giudici riconoscono che Appendino “sempre condizionata dalla fragilità finanziaria del Comune, riteneva di essere legittimata a non appostare il debito nel 2016”, un scelta per il giudici “errata”, ma non fatta in “malafede”.
Caso Ream, Appendino assolta per “errori fatti in buonafede”
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