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sabato, 27 Luglio 2024

Caso Orlandi, il fratello Pietro scrive al presidente Mattarella: "No all'archiviazione"

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di Moreno D’Angelo
«Mi rivolgo a Lei nella sua duplice veste di capo di Stato rappresentante di tutti gli italiani e di supremo garante del corretto funzionamento della Giustizia, in quanto presidente del Consiglio superiore della magistratura». Così inizia la lettera aperta con cui Pietro Orlandi si è rivolto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il fratello di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana scomparsa nel 1983 scrive una lettera aperta al neo eletto Capo dello Stato, per chiedere un suo interessamento nella vicenda.«Da anni mi batto, insieme alla mia famiglia, per rompere quel muro di omertà calato sulla sorte di mia sorella Emanuela, sequestrata nel lontano 1983 e mai più ritrovata, diventata ormai simbolo, suo malgrado, di giustizia negata per oscure ragioni di Stato, tuttora vivissimamente presente nel cuore e nelle speranze di noi famigliari e delle migliaia di persone che continuamente ci esprimono solidarietà».
Non c’è scadenza al diritto alla giustizia, spiega Pietro Orlandi, non c’è rassegnazione e «negare la possibilità ad un essere umano di scegliere della propria vita, è un’ingiustizia gravissima, la stessa vissuta da centinaia di famiglie che non hanno voce e che in silenzio vivono il dolore di un loro caro finito nella terra degli scomparsi e la voce di Emanuela ,ora, è anche la loro voce».
Poi il fratello di Emanuela ricorda il dramma che ha colpito il presidente della Repubblica, quando venne ucciso il fratello dalla mafia: «Sono certo Lei comprenderà l’angoscia che ci opprime, la stessa angoscia che Lei ha vissuto nella tragedia che ha colpito la sua famiglia, quel senso di impotenza ma non voler cedere e non accettare che un fratello , la cui unica colpa era quella di avere un forte senso della Giustizia e della legalità, possa morire perché qualcuno ha deciso così, qualcuno privo di valori, il cui rispetto della vita è pari a zero».
«La vicenda di Emanuela Orlandi è caratterizzata da un fatto raro, il coinvolgimento di due Stati , quello vaticano, perchè lei è una cittadina vaticana e quello italiano, perché è scomparsa su suolo italiano – aggiunge Pietro nella lettera aperta – Coinvolgimento nel quale sarebbe stata auspicabile e giusta una collaborazione tra le autorità italiane e quelle vaticane. Purtroppo, le reticenze, l’omertà, gli insabbiamenti e depistaggi , che hanno nel tempo denotano una evidente volontà nell’occultare la verità, hanno fatto si che , dopo quasi 32 anni, Emanuela sia ancora li, ferma, sospesa alle ore 19 del 22 giugno 1983 in corso rinascimento, davanti al Senato, dove fu vista per l’ultima volta». Nella missiva al presidente il fratello di Emanuela accenna ai Patti Lateranensi, ratificati da Bettino Craxi, di cui c’è stata la ricorrenza alcuni giorni fa. Sergio Mattarella, che ha partecipato all’anniversario, per l’occasione ha incotrato i rappresentanti della Santa Sede. Pietro ricorda questo momento perché proprio nei Patti si parla di collaborazione tra i due Stati, anche per gli aspetti giudiziari.
«Quel 18 febbraio 1984 in cui l’allora presidente del Consiglio Craxi e l’allora Segretario di Stato Casaroli ratificarono il nuovo Concordato io, con mio padre Ercole, mia madre Maria e le mie sorelle Natalina, Federica e Cristina, ero già alla disperata e vana ricerca di Emanuela, entrata nel cuore di molti italiani anche grazie agli appelli di papa Giovanni Paolo II e in seguito anche del Presidente Sandro Pertini. Fin da subito, però, la Santa Sede ha mostrato scarsa collaborazione alle indagini, arrivando a respingere richieste di rogatorie internazionali affinchè alcuni prelati venissero ascoltati, di fatto ostacolando e rallentando l’inchiesta, così come lo Stato italiano, nei suoi organi investigativi e giudiziari, ha continuato a muoversi in una sorta di sudditanza psicologica, nei confronti di gerarchie vaticane, rispetto all’evidente intenzione di fare calare sulla vicenda una spessa coltre di reticenza e omertà».
Orlandi conclude la lettera aperta lanciando un appello a Mattarella affinché venga fatto qualcosa per evitare che la Procura di Roma archivi il caso.
«Certo che apprezzerà e troverà modo di condividere la nostra sete di verità e giustizia e, come Lei stesso ha ricordato, è necessario rispondere efficacemente al bisogno di legalità fortemente avvertito nel Paese».

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