«Il Colle è ancora in tempo per concedermi la grazia». In caso il clima politico in quel di Roma non fosse abbastanza incandescente, ci pensa Silvio Berlusconi a riattizzare il fuoco.
E lo fa con quella naturalezza e spudoratezza che lo contraddistinguono. Con quella stessa nonchalance con cui firmava le sue leggi ad personam, corrompeva, e dava festini nella sua villa ad Arcore a cui partecipavano anche minorenni: come non ricordare la giovane Ruby Rubacuori.
Ora sull’ultimo libro di Bruno Vespa “Sale, zucchero e caffè. L’Italia che ho vissuto da nonna Aida alla Terza Repubblica”, le parole dell’ex premier, condannato in Cassazione per frode fiscale nel processo sui diritti Mediaset, stridono fragorosamente: «Mi dicono che per avere la grazia bisogna non aver iniziato a scontare la pena. Dunque, sarebbe ancora in tempo».
Insomma un appello in zona Cesarini, utilizzando un termine calcistico, al capo dello Stato, a Giorgio Napolitano che a suo tempo si era espresso con un “no” alla grazia per Berlusconi.
Emblematica la reazione di Antonio Di Pietro dell’Italia dei Valori: «Solo quella faccia di bronzo di Berlusconi può aver la spudoratezza di chiedere la grazia dopo aver insultato i magistrati che lo hanno giudicato e, soprattutto, dopo aver ripetuto, un miliardo di volte, che non si pente di quel che ha fatto. E, allora, che senso ha dare la grazia a un signore che è stato dichiarato delinquente e che tale vuole rimanere?».
Ora non resta che aspettare il voto del Senato sulla decadenza dell’Arcorino. Sempre che prima del 27 novembre il Pdl non stacchi la spina al governo Letta.
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