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sabato, 27 Luglio 2024

Angelo D’Orsi spinge il mondo intellettuale a scendere nuovamente in campo: “Diamo a Torino respiro internazionale”

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Giulia Zanotti
Giulia Zanotti
Giornalista dal 2012, muove i suoi primi passi nel mondo dell'informazione all'interno della redazione di Nuova Società. Laureata in Culture Moderne Comparate, con una tesi sul New Journalism americano. Direttore responsabile di Nuova Società dal 2020.

Il suo nome è uno dei più conosciuti nel panorama intellettuale di Torino, ma non tutti si aspettavano di vederlo anche candidato a sindaco per le amministrative 2021. Invece Angelo D’Orsi, docente universitario, storico e giornalista si presenta alla guida di una vasta coalizione che unisce Potere al Popolo, Torino in Comune e Pci.

Dopo tanti anni a studiare la politica ora è passato dall’altra parte candidandosi a sindaco di Torino. Come mai questa decisione?

Ho ricevuto sovente questa domanda e del resto ho spiegato io stesso la mia decisione di accettare la proposta di candidarmi, nella prima conferenza stampa, a metà maggio. Da una parte una vera e propria curiosità culturale e antropologica: provare a portare nella lotta politica, e specificamente in quella elettorale il mio bagaglio di studi, di insegnamento, tra storia e filosofia, tra dottrine politiche e teoria della democrazia, e così via…; la curiosità di mettermi alla prova in vesti nuove, e di verificare se effettivamente un bagaglio culturale di un certo peso (43 anni di docenza universitaria, e 53 volumi finora pubblicati…), potesse costituire un valore aggiunto nella politica pratica. Mi pare di poter rispondere affermativamente, ora che siamo alla fine della campagna.

Dall’altra parte, ho accettato perché la proposta veniva da un amplissimo, quasi unanime schieramento di forze della Sinistra (intendo a sinistra del PD!). Non avrei accettato se la proposta fosse giunta da una singola organizzazione.
Infine, avendo ormai superato da un po’ i sette decenni di vita, mi sono detto: se non ora, quando?

Ripartenza dell’economia, lavoro, innovazione, diritti, ambientalismo sono alcuni dei principali nodi che il futuro sindaco si troverà ad affrontare. Quali sono, secondo lei, quelli a cui dare priorità?

Stando alle ultime notizie, bisognerà risolvere, a mio avviso, primariamente della questione sfratti, e più in generale del problema della casa: non è pensabile insediarsi a Palazzo di Città, senza preoccuparsi di quelle centinaia di famiglie che rischiano di non avere un tetto da un giorno all’altro e di quelle migliaia che anelano ad averlo. In secondo luogo affrontare il problema del debito, un cappio intorno al collo della Città: Torino deve essere capofila di un movimento di grandi e medie città soffocate dal debito, e chiedere che come si è fatto per lo Stato centrale, venga intanto tolto il vincolo del pareggio di bilancio, e in secondo luogo se la rinegoziazione a vantaggio della Città non sarà efficace, decidere, pubblicamente, che il debito venga cancellato. Come terzo punto (ma primo strategicamente) pongo la questione ambientale, data la gravità della situazione sotto tale aspetto. A Torino si muore assai più per gli effetti delle polvere sottili eccetera, che per  il Covid 19. Bisogna puntare subito su una revisione e un controllo capillare degli impianti di riscaldamento e del dispendio energetico che producono negli uffici pubblici, e d’altra parte, su un investimento deciso, anche con i fondi in arrivo del PNRR, sulla metropolitana, e sui mezzi pubblici, riducendone nel contempo i prezzi per l’utenza. Penso anche a un esperimento di abolizione del biglietto, ossia la totale gratuità, per un certo periodo, per incoraggiare la cittadinanza a rinunciare ai mezzi propri, e familiarizzarsi con quelli pubblici, che devono avere ben altra capillarità, regolarità ed efficienza rispetto ad ora, collegando innanzi tutto bene il centro con le periferie. Infine, cominciare a studiare come ricuperare le centinaia di immobili in disuso, frutto della deindustrializzazione .E tra essi lo spazio immenso di Mirafiori, oggi utilizzato in minima parte. Non un mattone in più, a Torino, ma ricupero, ristrutturazione, riuso.

Ma per avviare il programma, il primo punto deve essere un bando di assunzione di personale per il Comune (e anche per la Città metropolitana), che  hanno subito una emorragia enorme negli ultimi decenni. Il Comune è il cuore della città, e non svolge solo funzioni amministrative, specie in  un centro di grandi dimensioni come Torino, ma ha un ruolo politico, di indirizzo, di coordinamento, di vigilanza, per far funzionare la macchina, ma anche per dare a Torino un vero respiro nazionale e possibilmente internazionale.

Cinque anni di amministrazione del Movimento 5 Stelle in cui molte delle speranze di cambiamento di chi li aveva votate sono state disattese, un centrosinistra che tenta il riscatto dopo la sconfitta del 2016, e il centrodestra che dietro Damilano tenta di unire una galassia variegata ed eterogenea. Come commenta il quadro dei suoi sfidanti alle amministrative?

La Giunta Appendino ha rappresentato da una parte un fallimento, dall’altra una delusione: dopo aver tuonato contro il “sistema Torino” i Cinquestelle vi si sono comodamente adagiati. Non c’è stato lo “strappo” con la lunga gestione del Centrosinistra, che era la promessa con cui hanno vinto le elezioni nel 2016. E specialmente il comportamento verso le periferie, che sono dominanti, nella Città, sia sul piano spaziale sia su quello numerico della popolazione, è stato a dir poco esecrabile: hanno vinto polemizzando, giustamente, con la politica del passato, che trascurava le periferie, e una volta ottenuti i voti, hanno proseguito imperterriti sulla stessa linea di abbandono. Mentre le periferie chiedono attenzione, servizi, biblioteche, palestre, piscine, spazi verdi curati e attrezzati.

Il Centrosinistra è partito in ritardo e male, con una estenuante lotta interna nelle famigerate “Primarie”, mentre Damilano è partito con largo anticipo e una campagna in cui però si è fatto vedere poco, rifiutando sistematicamente i confronti. Non ha nulla da dire, se non quello che Salvini e Giorgetti gli mettono in bocca, e quello che dice lo dice anche male, senza convinzione, usando parole vuote e generiche. Afferma che vincerà al primo turno, quasi a dire che non c’è bisogno neppure di fare campagna. Forse non è una cattiva persona, ma sarà l’equivalente del presidente della Regione, Cirio, ossia se dovesse vincere, ostaggio dei squali della destra. Lorusso, del PD, cattolico come Damilano (una delle costanti della classe politica italiana, il predominio dei cattolici), ha certamente esperienza, a differenza di Damilano, e conosce bene la macchina comunale, ma al di là delle sue stesse intenzioni, forse, non potrà che riprendere e portare avanti le politiche, a mio avviso sbagliate, delle giunte guidate dal PD degli scorsi decenni.

Gli altri candidati sono personaggi modesti, anche quando animati da buona volontà, talora grotteschi. Uno in particolare, ahimè collega universitario, Ugo Mattei si è messo in (cattiva) luce per una campagna tanto aggressiva quanto sgangherata, che punta sui no-green pass e no vax, con parole d’ordine confuse e roboanti.

Da Ken Loach a Bruno Segre fino ad Ascanio Celestini. Lei è il candidato che ha ricevuto il maggior endorsement dal mondo della cultura. Cosa ne pensa?

È stato sorprendente anche per me, e se da una parte mi ha fatto piacere e ha galvanizzato me e il mio team, dall’altra ha accresciuto la mia ansia: devo meritare la fiducia che questi personaggi così autorevoli hanno riposto nel sottoscritto. Ma il fatto principale è che proprio questa vicenda ha mostrato un risveglio degli intellettuali e una nuova volontà di scendere in campo. Mi auguro che sia l’inizio di una nuova stagione di “impegno”, una parola che negli ultimi decenni è stata ridicolizzata dalle destre, dal PD in avanti. E invece si tratta di un concetto basilare: l’intellettuale non può non “abbracciare interamente la sua epoca”, per dirla con Sartre, e quindi non può non interessarsi alla politica, a cominciare dallo spazio territoriale in cui vive, la città. O, per citare Gramsci, non può non “parteggiare”.

Ballottaggio tra Damilano e Lo Russo: chi sceglierebbe?

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