Lavorare nell’accoglienza e nella solidarietà può essere gratificante. Purtroppo in Italia la professionalità degli operatori del sociale non viene riconosciuta, diversamente dal resto dell’Europa, e così non si trovano figure fondamentali per sviluppare preziosi percorsi di inserimento.
A Rubiana (Val di Susa) è in corso da tempo un’interessante iniziativa di accoglienza, integrazione e inserimento lavorativo rivolta a una categoria quanto mai particolare come quella dei minori stranieri non accompagnati, alcuni dei quali sono anche richiedenti asilo. Una tipologia di migranti aumentata in modo esponenziale in questi ultimi anni.
Un progetto di reale inclusione che, partendo da piccole strutture di accoglienza, sta offrendo significativi risultati grazie alla costituzione di una rete che coinvolge istituzioni locali, aziende e associazioni imprenditoriali del territorio e strutture preposte alla formazione.
“Un discorso avviato 21 anni fa”, ricorda con soddisfazione Vittoria Vitaloni, ex manager della moda con laurea alla Cattolica di Milano, che, insieme ad alcuni amici professionisti del mondo dell’imprenditoria, del sociale e della sanità ha costituito l’associazione Geos Onlus, che gestisce due centri di accoglienza (Casa Miriam e Casa Francesco) che ospitano 21 giovani migranti.
Abbiamo visitato questa realtà mentre era in corso un incontro con delle giovani delegate dell‘Unicef che, in modo coinvolgente, hanno illustrato ai giovani migranti un vademecum di buone pratiche per aprirsi una strada nel mondo del lavoro (programma Skills4Youth rivolto a giovani tra i 15 e i 24 anni).
L’incontro ha visto la partecipazione di altri centri accoglienza della zona oltre a Geos Onlus (Cooperativa Pier Giorgio Frassati che accoglie, all’interno della loro offerta di servizi alla persona, anche 12 ragazzi minori stranieri non accompagnati a Salbetrand), alla presenza di operatori, docenti, psicologi, assistenti sociali e mediatori culturali, tutti giovani e prevalentemente di sesso femminile, coinvolti nel progetto.
Un passaggio fondamentale è la pronta conoscenza della lingua. Un discorso che qui viene sviluppato con grande efficacia, visto che gli ospiti, provenienti da paesi centroafricani, arabi e del lontano oriente, paiono tutti in grado di comunicare e scrivere, anche dopo solo un anno di permanenza nel nostro Paese.
A dimostrare che non si faccia solo teoria o sciorinamento di buoni propositi, vi sono i diversi casi come quello di Mamadou, un ragazzo di 18 anni di origine Senegalese che, dopo il lavoro come tirocinante presso la Collina di Guisacham, azienda agricola biologica di San Mauro, ha iniziato un apprendistato di due anni presso l’azienda Aura Energy dove si occuperà dell’installazione di impianti fotovoltaici. O di Mamoudou, ragazzo di 22 anni, di origine senegalese che lavora da Mc Donald da 4 anni insieme ad un altro coetaneo del Senegal di nome Mamadou. Molto particolare la storia di Arslan, un ragazzo pakistano di 23 anni che ha realizzato il suo sogno e ora svolge il ruolo di chef nel noto ristorante Garbo di Firenze. Mentre Fahad, 22 anni lavora presso un meccanico di Torino da due anni, come Niko, da 3 anni occupato presso un officina meccanica di Avigliana.
Tutte esperienze che, dall’iniziale tirocinio (periodo di stage formativo senza in genere limiti di età), hanno concrete possibilità di diventare forme di apprendistato contrattualizzato. (Un vero rapporto di lavoro che prevede un periodo di formazione rivolto a giovani tra i 18 e i 29 anni).
Tra i giovani rifugiati, in cui prevale il sogno di diventare calciatore (anche qui c è una squadra che partecipa al torneo Balon Mundial), l’attività lavorativa più ambita è quella di chef , seguita da quelle d’imbianchino, pizzaiolo, idraulico , elettricista, piastrellista, manovale, giardiniere e operaio.
“I buoni risultati sono frutto di un approccio che tiene conto in modo quanto mai pragmatico delle esigenze delle aziende che chiedono al primo posto affidabilità e conoscenza della lingua italiana” precisa Vitaloni, che aggiunge:
“Come associazione, insieme agli imprenditori coinvolti, seguiamo i ragazzi nelle prime fasi di lavoro per aiutare il loro buon inserimento fino alla loro assunzione e non a caso, oltre alla lingua, è importante l’insegnamento di principi di educazione civica in quanto si tratta di persone che arrivano da situazioni di povertà educativa e occorre prendere atto delle loro difficoltà a diventare persone adulte in questa realtà”.
La responsabile di Geos Onlus ha denunciato come il clima sociale italiano prevalso in questi anni abbia negativamente influenzato quelle figure professionali fondamentali per questi percorsi di accoglienza e orientamento lavorativo: “Far convivere dieci nazionalità diverse è già un risultato, per questo lavoriamo in sinergia con il Comune e le istituzioni per creare una rete, ma purtroppo mancano figure chiavecome insegnanti, educatori, psicologi, mediatori culturali, operatori sanitari che si impegnino in queste realtà solidali verso i migranti. Un lavoro gratificante, cui purtroppo in Italia non viene dato il giusto valore. Ruoli che, in paesi come la Francia, guadagnano anche tre volte quanto qui viene riconosciuto spesso con difficoltà”.
“Questi ragazzi saranno degli ottimi cittadini di domani se gli educatori faranno bene il loro lavoro. Ma occorre valorizzarli, visto il lavoro ad alta intensità che svolgono” ha concluso Vittoria Vitaloni, orgogliosa di essere riuscita ad applicare sistemi di efficienza manageriale in un contesto di solidarietà che deve avere concretezza e pragmatismo per funzionare.