Nei giorni di Terra Madre possiamo tranquillamente dire che Torino è la capitale mondiale del cibo. E se il capoluogo piemontese non fosse sempre troppo impegnato a piangersi addosso per quello che ha perduto e fosse invece un po’ più efficace nel promuovere le proprie iniziative di successo, il ritorno potrebbe essere ancora maggiore. Basti pensare che nessun telegiornale nazionale ha parlato dell’evento, che se invece si fosse svolto a Roma o Milano avrebbe avuto un’esposizione mediatica ben diversa. Allora ne parliamo noi, di questo piccolo miracolo ancora insediato a Torino, prima che qualcuno si accorga della sua formula di successo e provi a portarcelo via, come avvenuto col Salone dell’Auto e come rischia di succedere con quello del Libro, anche grazie agli errori e all’ignavia della nostra classe dirigente.
Facciamo un passo indietro, ricordando che nel 1996 nasce il Salone del Gusto, per dare visibilità ai piccoli produttori e ai cibi di qualità. Nel 2004 prende avvio Terra Madre, momento di incontro fra comunità del cibo provenienti da ogni angolo del globo. Nel 2012 i due eventi si riuniscono, completandosi e fornendo un panorama unico e a tutto tondo sulle tematiche del cibo: da un lato, le eccellenze italiane, riconosciute come tali in tutto il mondo, dall’altro le produzioni più peculiari del mondo che ottengono una vetrina unica nel Paese che ha fatto dell’enogastronomia un tratto distintivo della propria cultura.
Anche i numeri testimoniano il successo della manifestazione: si stimano circa 1.000.000 di persone durante i 5 giorni di evento, 900 espositori da 100 paesi, 7.000 delegati di Terra Madre da 143 paesi (di cui 1.200 ospitati in famiglie o aziende a conduzione familiare), 1.000 volontari, 70 chef protagonisti del programma ufficiale e oltre 60 chef presenti nelle Cucine di Terra Madre, 170 Presìdi Slow Food italiani e 140 internazionali presenti.
Nei tre padiglioni di Lingotto Fiere troviamo il Salone del Gusto, centinaia di stand con le eccellenze italiane suddivise per regione, con decine di eventi tematici e degustazioni che consentono di apprezzare la qualità e la sapienza culinaria del Belpaese. Ma è nell’ampio spazio dell’Oval che si respira l’internazionalità e la multiculturalità della manifestazione: qui, delegati e produttori da ogni parte del mondo espongono prodotti esotici e particolari, virtualmente introvabili altrimenti. In una babele di lingue, fra costumi tradizionali e sapori inusuali, anche gli eventi contribuiscono a creare cultura, incontri, sinergie, opportunità.
A tavola, dice qualcuno, ci si conosce meglio, fra convivialità e scambi reciproci di cibo: il cibo dunque come momento di incontro, di conoscenza, per disinnescare conflitti. In una parola, il cibo come strumento di Pace. Non è un caso che a margine di uno dei tanti dibattiti incontriamo Monica Cerutti, Assessore regionale all’Immigrazione e alla Cooperazione Internazionale, che fa notare come spesso «noi abbiamo timore dello “straniero”, ma non siamo spaventati dai cibi stranieri, che anzi creano curiosità. Ecco allora che il cibo può diventare strumento di conoscenza e integrazione, come a Torino avviene già da qualche anno con il progetto ‘Indovina chi viene a cena?’ (con il quale i torinesi possono cenare presso famiglie o piccole comunità di immigrati, ndr). Un modo per aprirsi alla città senza dimenticare le proprie radici. Come Regione appoggiamo questo genere di iniziative attraverso il Centro Servizi per il Volontariato. E naturalmente presenziamo a Terra Madre perché è una manifestazione dove troviamo tematiche affini a quelle dell’immigrazione e della cooperazione decentrata di cui si occupa il mio Assessorato».
E in effetti le potenzialità di questo incontro di culture sono tangibili, le percepisci ovunque. Può capitare che un’ospite iraniana interloquisca col Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis riguardo allo spreco di cibo dell’Unione europea, che lo stesso commissario definisce “scandaloso”. Puoi ascoltare i racconti dei coltivatori del Sud del mondo che esportano i loro prodotti grazie alle filiere del commercio equo, portando il benessere nelle proprie comunità e scongiurando la necessità di emigrare. Vedere ragazzi musulmani che agiscono attraverso una associazione culturale per riavvicinare le due sponde di quel Mediterraneo culla di civiltà, diventato frontiera e luogo di morte. E scoprire come tutto questo influenzi positivamente i giovani, che vogliono diventare attori di questo cambiamento possibile, all’insegna dell’integrazione, del recupero delle tradizioni, del rispetto per l’ambiente.
Visitando Terra Madre, insomma, si coglie la ricchezza di una società multietnica e multiculturale, una convivenza possibile e feconda. L’esatto contrario dei sentimenti di preoccupazione e paura che serpeggiano attualmente nel Paese e che vengono ingigantiti e cavalcati da politici spregiudicati e cinici per aumentare il proprio potere. Il miglior modo per contrastare queste pulsioni xenofobe sarebbe proprio quello di far conoscere il più possibile il messaggio e l’esempio di Terra Madre, costantemente e quotidianamente, ben oltre i pochi giorni, intensi ma brevi, di questo evento che arricchisce la nostra città sotto ogni punto di vista.