“Un paese di seconda mano” è il primo romanzo di Mauro Occhi, medico o grande osservatore della quotidianità e delle “cose” umane. Con ironia e talvolta sarcasmo presenta la storia di un paese immaginario Montescuro, focalizzandosi sulla vita della frazione “di sotto”, perché il paese, “di sopra” è diverso, migliore se è consentito al lettore dare un giudizio.
La storia è avvincente e veloce, di quelle nelle quali ciascuno può ritrovare una sua esperienza: Montescuro di sotto potrebbe essere accogliente ma sceglie, per natura ostile e per pigra inettitudine, di essere ripiegato su sé stesso e di negarsi alle esperienze di chi arriva da fuori e che al contrario ha voglia di mettersi in gioco e di arricchire la propria vita di emozioni ed umanità. Sono quelle che il borgo, i suoi cittadini, i suoi amministratori, negano al giovane medico che arriva dalla città, ereditando la gestione del servizio di assistenza del precedente dottore, morto e per molto tempo mai sostituito.
Mauro Occhi, medico, nato a Genova ha una carriera professionale che si è affacciata alle più diverse e profonde esperienze, dall’Italia agli Stati Uniti fino a Paesi complessi del medio Oriente.
Perché scegliere di raccontare e di trasformare il medico in narratore?
Perchè la varietà delle persone è infinita e in trentacinque ani di professione medica di storie ne ho sentite tante. Sono vicende per le quali ho sempre avuto un’attenzione profonda, è quella che mi ha fatto conoscere esperienze di vita, bizzarrie, estrosità. Molto tempo fa lessi una frase che sostanzialmente diceva che i romanzi sono composti da almeno cinquantamila frasi. Dalla composizione delle frasi, se sempici o più complesse, dipende la lunghezze del lavoro. Io mi sono chiesto se mai sarei riuscito a trovare la prima frase, il primo mattoncino, con il quale iniziare a raccontare.
E l’ha trovata, visto che “Un paese di seconda mano” è stato pubblicato qualche settimana fa da Impremix edizioni Visual Grafika. Qual’è stata la nota che le ha dato il giusto accordo?
Ricordo una visita nel mio studio, molto tempo fa. Un paziente era su llettino e si stava rivestendo dopo un’ecografia. Abbiamo fatto quattro chiacchiere, quelle che si fanno per stemperare la tensione della persona prima di un esame. Gli ho chiesto che lavoro facesse e mi ha risposto che era pensionato da poco, e che passava tutto il mio tempo a fregare lo Stato. Era l’occupazione che glii dà più soddisfazione. Quello fu il primo mattoncino.
L’io narrante del romanzo è un giovane medico. E’ un romanzo autobiografico?
E’ una domanda che mi fanno spesso. No, l’io narrante non sono io. Non sarei potuto esserlo fuori dall’obiettività. Ma mi sembrava un accorgimento letterario che poteva funzionare. Il giovane medico condotto che nel dopoguerra è una figura ancora abbastanza popolare, ed è guida di tutta la trama.
Nel racconto si parla di “Un paese dalla bellezza sprecata”. Chi spreca la bellezza dei nostri Paesi?
C’è un mito che fotografa la provincia italiana in modo bucolico, da favola, che parzialmente può ritersi ancora valido ma che andrebbe un po’ ridiscusso. Nella finzione letteraria il paese è un piccolo borgo ma il paese è il nostro, quello più grande, che credo abbia avuto una grande forza propulsiva nel primissimo dopoguerra, con protagonisti di rilevo nella conduzione della vita politica e nella ricostruzione ma abbiamo perso progressivamente la capacità di innovare.
Qual’è l’Italia che vede oggi?
Noi oggi abbiamo decine di migliaia di giovani che hanno studiato all’estero ma che all’estero si sono fermati per lavorare, ciò dovrebbe essere al centro dell’attenzione ma non lo è. Alla fine della seconda guerra mondiale 80mila alpini morti in russia rappresentarono un’intera generazione perduta e ne parlammo a lungo. Oggi la generazione che perdiamo è un’altra, quella che va all’estero e non torna, quella che non sente di avere futuro. Io all’estero ho lavorato molto e credo di poter affermare che gli italiani siano un grande popolo, con un grande futuro e una statura rilevante. E’il nostro paese che è un po’ “scassato”, e la bellezza che ci è sempre stata riconosciuta corre il rischio di essere vista come un dato di fatto, un bene acquisito, scontato. Per questo essere sprecata e in qualche momento mi viene da pensare che lo stiamo facendo.
Nel suo racconto, parla di persone ammalate di infantilismo civico. Cosa significa?
Mi pare che sfugga spesso la convenienza di andare d’accordo, di federarsi. Questo tipo di logica molto particolare credo sia la condizione primordiale di uno Stato. Per quello ho parlato di infantilismo. La capacità di produrre un fattore comune è ciò che spiega perché alcuni paesi viaggiano alla velocità doppia del nostro. Gli abitanti nella finzione letteraria di Montescuro sono piccoli, presi dalle loro cose, dalle loro debolezze umane, indifferenti.
Caratteristiche con le quali nella realtà facciamo i conti spesso.
Accade una cosa curiosa: dopo la pubblicazione di “Un paese di seconda mano” ho ricevuto molte telefonate o mail di lettori, anche di amici o colleghi, che ritenevano di aver riconosciuto nel paese e nelle sue vicissitudini una realtà e mi chiedevano conferma se in realtà Montescuro fosse questo o quel paese nel quale loro stessi avevano vissuto. Questo è preoccupante, perché potremmo essere più moderni, più soddisfatti della nostra cittadinanza. Invece ci si accontenta.
L’Io narrante si scontra con l’uomo forte. Carmine. Anche in questo caso, il racconto dà spunto per uscire dall’immaginazione e riflettere su un tipo di figura della quale molti italiani sembrano provare nostalgia.
Se non fossero purtroppo reali queste situazioni non si potrebbe essere precisi nella narrazione. Carmine è un personaggio della finzione letteraria però è ovvio che ci siano molti Carmine che hanno ispirato questo tipo di figura. A Genova nel dopoguerra era molto popolare la figura di un medico che pare avesse fatto fortuna introducendosi notte tempo nelle ville disabitate degli ebrei che erano stati deportati, razziando i quadri di valore. Forse è una leggenda metropolitana ma funziona questa figura del medico genovese del secondo dopoguerra che costruisce la sua fortuna e poi la sua carriera politica e il suo potere in questo modo. E’una suggestione molto forte e io ho provato a costruirci sopra la figura di Carmine.
“Carmine lo sa?” è il titolo di uno dei primi capitoli del racconto. Non si muove foglia che Carmine non sappia. Chi è?
E’ un personaggio abbastanza attuale, autoritario, ed è un carattere che ho incontrato spesso. Per molti è comodo, sostanzialmente conveniente appoggiarsi a lui, delegare le scelte e le azioni. Carmine è il cattivo del romanzo, lo “stronzo”, ma racconta anche un’esperienza che credo tutti abbiano fatto nell’incontrare un individuo simile: è talmente familiare, così tanto quotidiano. In fondo in Italia trovare chi preferisce che qualcuno ci dica come fare rendendoci le cose più facili, non è difficile.
Non è forse il primo passo per rinunciare alla democrazia?
La democrazia è faticosa. Se noi abbiamo qualcuno che ci dice cosa fare, evitiamo dei passaggi difficili e di pensare.