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mercoledì, 23 Ottobre 2024

Uccide più l'aspirina della Ru486

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Giulia Zanotti
Giulia Zanotti
Giornalista dal 2012, muove i suoi primi passi nel mondo dell'informazione all'interno della redazione di Nuova Società. Laureata in Culture Moderne Comparate, con una tesi sul New Journalism americano. Direttore responsabile di Nuova Società dal 2020.

Ogni anno più di centomila persone sono ricoverate in ospedale per problemi legati all’assunzione di farmaci quali aspirina e ibuprofene, vendibili senza ricetta e consigliati per mal di testa, dolori mestruali e nevralgie. Di questi pazienti 17mila muoiono. Nessuno però ha mai pensato di protestare contro l’uso dell’aspirina né di lanciarti sguardi di disappunto se hai mal di testa.
Nel 2014, invece, una donna che decide di abortire si espone a critiche e pubbliche condanne. Oltre a un percorso fatto di ostacoli. Già, perchè c’è una legge, la 194, che da 1978 stabilisce come diritto l’interruzione di gravidanza. Ma molto più forte del codice civile nel nostro Paese è quello morale che rende la libertà di una donna di scegliere sul proprio corpo un cammino tortuoso tra sguardi ben pensanti e cattolici. E molti no. Le infinite contraddizioni della sanità italiana: dove si garantiscono le cure ai cittadini ma poi l’ottanta per cento dei medici è obbiettore e non pratica aborti.
Così chi volesse interrompere una gravidanza non voluta si trova ad entrare nello studio del proprio dottore a testa bassa e sussurrando nella speranza di riuscire ad avere quel certificato che è solo il punto di partenza. Poi, ci sono le code in ospedale per prenotare un posto e l’ansia di riuscire a trovarlo entro la dodicesima settimana di gestazione, visto le richieste sempre più numerose rispetto alle disponibilità.
Ma c’è anche di peggio. Ed è quell’universo che con la medicina e la legge non ha nulla a che fare ma che si sente autorizzato a parlare in nome di principi cattolici per cui abortire è uccide una vita. Chi non li ha mai visti davanti agli ospedali con i loro volantini, le loro croci e le immagini di feti morti? Nel migliore dei casi lanciano solo uno sguardo severo di condanna, nella peggiore insultano le donne colpevoli solo di esercitare il loro diritto sul proprio corpo.
Spiace pensarlo ma qualcuno di loro avrà anche gioito della tragedia capitata a Torino a una donna di 37 anni, morta dopo aver assunto la pillola abortiva Ru486. Certo, spetterà alla magistratura accertare un vero legame tra il decesso e il farmaco. Ma per l’esercito degli antiabortisti questo non è che un modo in più per convincere di quanto sia sbagliato scegliere di interrompere una gravidanza. «Sbagliato eticamente e anche pericoloso per la propria salute e la propria vita»: ci immaginiamo già quello che dicono. Gli stessi che poi magari al più piccolo dolore si imbottiscono di aspirina o che non si preoccupano di eccedere con l’alcool, vera droga legalizzata della modernità. Gli stessi la cui morale non li fa indignare davanti a politici che pagano ragazze minorenni per fare sesso, o a donne maltrattate dai mariti in nome di un concetto di famiglia dove l’unico diritto è quello di essere l’angelo del focolare.
Ecco, per loro quell’unico caso di Torino conterà di più di tutte le morti per blandi sedativi, per alcool e fumo o per le botte quotidianamente ricevute dal proprio marito. Sicuri di loro, della loro morale e rinforzati dall’assenza di dati statistici su quello che è un mondo tutt’altro che scomparso: quello degli aborti clandestini. Già, perchè per non imbattersi nello sguardo di condanna di un mondo troppo ben pensante molte donne scelgono ancora questa strada, molto più rischiosa per la propria salute, pur di poter esercitare un diritto sul loro corpo che in quella che si definisce società civile ancora in troppi vogliono negare.

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