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domenica, 8 Settembre 2024

Travaglio interpreta Machiavelli al Carignano, intervista all’autore Matteo Salvetti

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Niccolò Machiavelli in chiave moderna, interpretato dal celebre giornalista Marco Travaglio: lunedì 24 marzo al Teatro Carignano di Torino va in scena il “Processo” all’illustre intellettuale fiorentino, un dibattito processuale che rievoca “Il Pricipe”, la sua opera più celebre, in occasione del 500º anniversario. Allo spettacolo, messo in scena dall’associazione “Il libro ritrovato” e dalla “Compagnia Viartisti”, parteciperanno come attori l’ex Procuratore Capo di Torino Gian Carlo Caselli nei panni del Presidente del Tribunale, Nando Dalla Chiesa, Bruno Maria Ferraro, Gloria Liberati e Bruno Gambarotta. Nuovasocietà ha incontrato l’autore Matteo Salvetti, ex dottorando con alle spalle anni di studi sul Cinquecento, per saperne di più.
Salvetti, questo è il terzo spettacolo del genere messo in scena dall’associazione “Il libro ritrovato”, prima ci sono stati processi a Galileo Galilei e Giuseppe Garibaldi. C’è un filo conduttore che accomuna i tre personaggi?
Fare paragoni è difficile, anche perché sono vissuti in periodi diversissimi. Ciò che è certo è che tutti e tre hanno fatto la storia del proprio tempo e poi sono finiti in esilio. Erano personaggi scomodi che hanno fatto i conti con il potere. Inoltre nessuno di loro aveva un buon rapporto con la Chiesa.
A che cosa è dovuto il format? Perché la scelta di processare Machiavelli?
Penso che inscenare un processo sia un modo efficace per far vedere che “Il Principe” tratta tematiche più che mai attuali, anche se risale al Cinquecento. Non a caso è considerato il trattato fondatore di scienza politica. I giochi per il potere, del resto, sono sempre quelli, e in un periodo come questo è più che evidente.
Insomma, pensa che Machiavelli saprebbe raccontare l’Italia del 2014?
Sì, senza alcun dubbio. Ci tengo però a precisare che lo spettacolo non parla dell’attualità, ma di temi sempre attuali, senza scendere in particolari che sarebbero anacronistici. Viene riferito il fatto che Benito Mussolini, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi fecero tutti e tre una prefazione al “Principe”, ma non ci sono riferimento espliciti a qualcosa accaduto nel Novecento o negli anni Duemila.
A che cosa è dovuta la scelta di Marco Travaglio come protagonista?
Travaglio collabora da tempo con la nostra associazione assieme a Caselli e Gambarotta, è abituato al format e sa come gestirlo. Inoltre assomiglia persino un po’ fisicamente a Machiavelli. Non che questo sia stato determinante nella scelta, ma è un dettaglio in più.
Non ha paura che un personaggio conosciuto e connotato politicamente come lui, con tutto ciò che comporta, possa in un certo senso “oscurare” Machiavelli?
Sicuramente quella di Travaglio è una scelta pesante, già il fatto che sulle locandine ci sia il suo ritratto è significativo. Del resto la società moderna è anche questo. Non credo però che alla fine emerga il giornalista, quanto l’intellettuale cinquecentesco. Dopotutto si tratta di uno spettacolo teatrale, non di un dibattito sull’attualità. Sarebbe una sconfitta se tutti si ricordassero solo di Travaglio e non riflettessero sui molteplici significati de “Il Principe”.
Per il senso comune Machiavelli è l’ideatore della filosofia di vita per cui il fine giustifica i mezzi. È d’accordo con questa affermazione?
No, affatto. Machiavelli non hai mai scritto “Il fine giustifica i mezzi” e limitare un pensiero complesso a questa affermazione è strumentalizzare e banalizzare. L’autore de “Il Principe”, in realtà, ha affermato, (semplifico), che bisogna sapersi “sporcar le mani” se è necessario per una causa più alta, come il mantenimento di uno Stato e ha spiegato con grande chiarezza e lucidità i meccanismi del potere.
A che tipo di pubblico è destinata la sua opera?
Il “Processo” è destinato ad un pubblico il più ampio possibile, non specializzato. Non è un’opera storiografica, ci sono volutamente forzature per renderlo comprensibile anche a chi non è uno studioso del settore. Il livello è alto, perché sotto ci sono anni di studio, ma non troppo.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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