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mercoledì, 23 Ottobre 2024

Successione Napolitano: il totoquirinale è aperto

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Dopo settimane di attesa, il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha confermato «l’imminente conclusione del (suo) mandato presidenziale», portando a un aumento della fibrillazione che ormai da tempo attraversa tutte le forze politiche, del governo come dell’opposizione. La preoccupazione di Renzi e fedelissimi va alla possibilità che le dimissioni di Napolitano arrivino prima che la riforma elettorale – Italicum – venga approvata, modificando sensibilmente gli equilibri politici del Paese che hanno portato all’accordo del Nazareno e inducendo a un cambio di passo sul terreno delle riforme.
Maria Elena Boschi ha provato a distendere gli animi, spiegando che «sui tempi c’è sempre intesa con Forza Italia» e che, come previsto, l’8 gennaio riforma costituzionale e Italicum saranno portati in Aula. Il governo però ha dovuto cedere terreno a Berlusconi, spaventato all’idea che si finisca ad elezioni anticipate con la nuova legge elettorale prima che venga completata la riforma del Senato. Per questo, una volta approvato, l’Italicum entrerà in vigore solo a settembre 2016.
Molta la carne al fuoco. Ecco perché la successione dell’inquilino del Quirinale ha portato a un inasprimento delle lotte non solo tra i maggiori partiti politici italiani, ma anche al loro interno, tra quella complessa maglia di correnti di democristiana memoria.
Da fonti di palazzo sembra che Berlusconi abbia chiesto al segretario del Pd una rosa di candidati tra cui scegliere, magari da confrontare e incrociare con una rosa di nomi stilata da Forza Italia. Matteo Renzi però, sembra poco incline a questa soluzione.
Per poter avere un ruolo incisivo sulla scelta del candidato al posto di Napolitano è necessario innanzitutto che i due partiti dispongano della maggior lealtà possibile da parte dei propri uomini, onde evitare l’empasse delle elezioni 2013. Ed è su questo terreno che Renzi e Berlusconi stanno muovendo i primi passi, dopo aver affidato a due fedelissimi come Luca Lotti, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio, e Denis Verdini, il compito di saggiare la tenuta dei rispettivi ranghi.
Gli scontenti all’interno di Pd e Fi sono parecchi, uniti dal comune obbiettivo di evitare l’elezione di un presidente della Repubblica asservito al patto del Nazareno. In casa azzurra, la corrente guidata da Raffaele Fitto – che giudica troppo accondiscendente l’atteggiamento di Berlusconi nei confronti di Renzi – ha ben accolto la clausola che farà entrare in vigore l’Italicum a settembre 2016. Fitto, tuttavia, ha intenzione di far pesare la sua posizione al momento dell’elezione al Colle. «Noi non siamo in grado di scegliere un capo dello Stato, ma certo di determinare il corso degli eventi».
In casa Pd, invece, sembra consumarsi una battaglia tra ex Democratici di sinistra ed ex Margherita. Dopo la soffiata sulla riunione eccezionale avvenuta nella casa romana di Piero Fassino, sembra sia stata stilata una rosa di nomi che il gruppo avrebbe intenzione di presentare al proprio segretario. I candidati andrebbero dallo stesso sindaco di Torino, che riuscirebbe gradito sia alla galassia renziana che a quella bersaniana, a Pier Luigi Bersani, la cui azione di mediazione tra il governo e le correnti Pd è stata negli ultimi tempi particolarmente importante.
Gli ex margherita avrebbero intenzione di puntare invece su Sergio Mattarella, dal 2011 giudice della corte Costituzionale, e in grado di garantire quella continuità istituzionale invocata più volte nell’ultimo anno da Napolitano. Non va poi lasciato in secondo piano Massimo D’Alema, che no pare intenzionato rinunciare alla corsa al Quirinale e che certamente potrebbe essere figura gradita a Forza Italia e, potenzialmente, alle sue correnti. Insomma il totoquirinale è aperto.

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