Lunedì 2 dicembre “La Stampa” a pagina 51 riferiva di una affollata assemblea svoltasi in una bocciofila di San Mauro, un comune della cintura, con all’ordine del giorno: «Restituire l’Italia agli italiani». «Il nocciolo duro degli organizzatori – scrive il cronista del quotidiano torinese – si riunisce ben prima in un clima di grande segretezza».
Chi sono? I promotori di un fantomatico “Comitato per la rivoluzione” che ha indetto via Facebook con deliranti messaggi «una giornata nazionale di ribellione nelle strade e nelle piazze per il 9 dicembre (…) contro un governo di nominati che va cacciato anche con mazze e pietre». Il tutto condito da parole d’ordine come «riappropriamoci della democrazia per il rispetto della Costituzione».
Il leader di questo “Comitato per la rivoluzione” che raccoglie numerose sigle compresa quella dei Forconi ma che hanno un ruolo marginale, è un facoltoso agricoltore di Latina, tale Danilo Calvani, un arruffa popoli, con velleità politiche dai trascorsi giovanili con l’ultra destra, poi militante della Lega, e alle ultime elezioni amministrative capo di una lista civica per la conquista del comune capoluogo. Operazione fallita.
Vanta rapporti e amicizie con un esponente dell’Arma dei carabinieri: tale Antonio Pappalardo, già apparso per un breve periodo a Montecitorio, patetico fautore di un partito dell’Arma.
Le idee che esprime il Calvani (giunto mercoledì sera a Torino a bordo di una Jaguar proveniente da Genova) le ha illustrate ai “rivoltosi” in piazza Castello esprimendole in modo molto meno esplicito di quanto aveva sostenuto nell’assemblea del 2 dicembre a San Mauro: «Costringere gli inquilini di Montecitorio a dimettersi e costituire un governo di emergenza». Alla domanda venuta dalla platea «ma chi mettiamo al governo?», il novello Masaniello da Latina aveva testualmente risposto: «Mandiamo a casa i traditori della Costituzione» (sic!) «con un governo temporaneo con una figura militare di riferimento».
Tutto quanto sopra riferito era a conoscenza di agenti della Digos che erano presenti. Si presume che abbiano riferito tutto al questore e indi alla prefetta.
Nella giornata di mercoledì 3 dicembre giungevano alla sede dell’Anpi provinciale di Torino una decina di telefonate di negozianti minacciati, con toni tipicamente mafiosi, affinché obbedissero alla proclamata chiusura degli esercizi per il giorno 9.
Analoghe minacce venivano rivolte agli ambulanti perché disertassero i mercati.
Altri negozianti ricevevano visite da falsi poliziotti in borghese i quali con toni amichevoli consigliavano la chiusura degli esercizi onde evitare di subire qualche sasso nelle vetrine.
Giovedì 4 dicembre l’Anpi informava direttamente il questore, la prefetta, il sindaco, la presidente dell’associazione commercianti affinché immediatamente con un pubblico appello venissero denunciate le intimidazioni e le violenze invitando tutti i titolari di esercizi pubblici e i supermercati non ché gli ambulanti a respingere le intimidazioni e a denunciare i provocatori.
Il questore personalmente invitava l’Anpi a smentire un comunicato stampa in cui si denunciavano le visite intimidatorie nei negozi. In Questura non risultava nulla. La prefetta assicurava che «tutto è monitorato», «la situazione è sotto controllo, non facciamo dell’allarmismo. Non c’è di che per preoccuparsi».
Per la verità, ed è l’aspetto ancora più preoccupante, nessuna iniziativa veniva assunta dalle forze politiche democratiche compresi i sindacati che si limitavano a organizzare una vigilanza alle proprie sedi.
Con gli ambulanti e i pochi commercianti che hanno organizzato dei cortei per le vie cittadine, onde manifestare il legittimo profondo malcontento della categoria, si sono aggregati elementi di CasaPound, di Forza Nuova, dei Fratelli d’Italia capeggiati da un consigliere comunale già dirigente del Fuan ai tempi dell’Msi; gruppi di ultras delle due squadre di calcio cittadine rinforzati da quelli del Milan, loro amici considerati tra i più facinorosi. Il quadro era completato da delinquenti comuni già noti alla polizia.
Sino alla giornata di martedì non era stato effettuato un solo fermo, fatta eccezione di un giovane facinoroso portato in Questura dai vigili urbani.
In questa drammatica situazione che ha sconvolto la vita della città per tre giorni e tre notti con posti di blocco ovunque, raccoglitori della spazzatura rovesciati, paline della segnaletica divelte, caos nella rete dei trasporti pubblici, traffico in tilt, non si è vista l’ombra dei famosi idranti annunciati pomposamente dal ministro Alfano per rimuovere i posti di blocco formati da autotrasportatori all’imbocco delle autostrade e da nuclei di giovani nelle rotonde del centro e della periferia.
Non necessita commento ciò che è accaduto e che si spera che non si ripeta. Un fatto è certo: la città è stata lasciata in balia della violenza, dei teppisti, dei malviventi.
È di poche ore fa l’intervento della magistratura dopo alcuni arresti di soggetti totalmente estranei alla protesta degli addetti al commercio.
Domani venerdì 13 ci sarà un presidio democratico organizzato dall’Anpi con l’adesione di altre associazioni dell’antifascismo e della Resistenza. Nella piazza antistante il municipio, simbolo delle istituzioni democratiche risorte dopo la caduta del fascismo, sarà ribadita la più ferma condanna a ogni atto di violenza in difesa dei valori sanciti dalla Costituzione.
Illuminante ciò che ha scritto l’editorialista de “La Stampa” Luigi La Spina: «Come sarebbe bello se un questore o un prefetto, magari quelli di Torino, per non dire un ministro di questo nostro povero Stato che rappresentano, di fronte a una Waterloo come quella di queste ore offrisse le sue dimissioni, anche se ritenesse di non essere il solo responsabile. Ma non allarmatevi, non lo farà».
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