La conclusione del Novecento, si pensava, avrebbe chiuso la parentesi della maleodorante propaganda e dei diavoli ideologici. Dopo aver abbattuto l’Unione Sovietica, debellato ogni forma di resistenza, messo in gattabuia il terrorismo, qualunque voce contraria al coro sarebbe stata agevolmente sintonizzata alla frequenza corretta. Guardando al panorama del moderno, o meglio, alle sue rappresentazioni mediatiche e politiche, fra i boia del califfato targato Isis e l’Ucraina invasa dai russi, ci si accorge che non è affatto vero: le ombre del mostro bavoso, dell’acerrimo nemico, riecheggiano anche in questo inizio di secolo, continuando a rovinare i sogni bambineschi dell’Occidente. È così e sarà sempre così, nessuno si meravigli: ogni forma di potere, per riprodursi, ha bisogno di una contrapposizione anche ideologica, forte ed evidente, per separare, almeno finché conviene, quella maledetta linea del selciato, che divide il “noi” dal “loro”. Questo l’incipit, fra il serio e il faceto, per inquadrare un altro dei cantici tanto di moda di questi tempi.
Boicottare i Mondiali di calcio del 2018 previsti in Russia, terra non più odorante di comunismo ma identicamente nemica perché comandata dall’antidemocratico zar Vladimir Putin, amico dell’Europa e degli Stati Uniti fino allo scoccare dell’ora della controversa e maldestra crisi in Ucraina. La bellezza di questi slogan minacciosi (questo sono, non di più) è l’assoluto imbarazzo con il quale vengono pronunciati: “bisognare esercitare pressione”, avranno pensato a Londra e Berlino e Parigi, ma immediatamente dopo la pronuncia dell’ultima parola sarà caduta sulla testa dei governanti nostrani la terribile paura di perdere investimenti e sponsor e acqua calda proveniente dalla Grande Russia, cattivissima ma essenziale. Il giro di sanzioni fatte recapitare a Putin come ritorsione per la crisi ucraina ha seguito questo spartito. Per colpa dello scontro geopolitico la locomotiva economica della Germania si è ingolfata, non potendo più contare sul mercato estero con la Russia. Difatti, in Europa, appena si è ricevuta notizia della tregua raggiunta sul fronte orientale si sono stappate bottiglie di champagne, affrettando le diplomazie continentali a dichiarare di sperare di poter presto ritirare le sanzioni contro la Russia, se la tregua reggerà. Per il bene dei bilanci così come dei consensi elettorali: nella cabina elettorale non abita più l’ideologia, ma un pragmatismo bilanciato dal provinciale calcolo dell’aspettativa del beneficio o del suo contrario.
Comunque sia l’idea di boicottaggio dei Mondiali 2018 ha fatto il giro del mondo, ha occupato per un giorno le pagine dei giornali e poi è andata a trovar posto in mezzo alle tante altre fregnacce sentite di questi tempi sull’Ucraina, sulla Russia e sui loro parenti. La “brillante” e anche “originale” proposta è stata fatta dal premier britannico David Cameron, trovando necessariamente il facile consenso dei paesi vicini alla Russia, Estonia e Lituania in primis. Il boicottaggio istituzionale come forma efficace di battaglia politica: c’è chi la ritiene tale, tanti altri forse riservano dubbi. Tra le opzioni sul tavolo, si diceva al summit Nato in Galles, ci sarebbe anche l’ipotesi di sospendere la Russia dagli “eventi internazionale culturali, economici o sportivi di primo piano”, che annoverano la Formula Uno (proprio quest’anno, per la prima volta, la Russia dovrebbe ospitarla il prossimo 12 ottobre a Sochi) e quindi i Mondiali 2018.
“Il 2018 è ancora lontano”, con questo sospiro è stata rinviata ogni decisione sul boicottaggio dei Mondiali 2018 in Russia. Se si considera il mondiale giro di affari che galvanizza eventi del genere è difficile credere che questa ventilata ipotesi diventerà realtà: chi si prenderebbe la briga di far accettare il fattaccio agli sponsor, al signor Blatter e ai suoi compari della Fifa? Anche perché non è così saggio giocare con il fuoco del gas di Gazprom, gigantesca impresa russa proprietaria dello Zenit di San Pietroburgo, squadra allenata fino a qualche tempo fa dall’italiano Luciano Spalletti: i rubli russi fanno un gran comodo alle casse della Champions League (Gazprom è sponsor ufficiale) così come a tutte le diavolerie dell’imprenditoria associata al pallone, Uefa o Fifa che sia.